venerdì 4 novembre 2016

^Sigh^Life! - Joe Sacco e quella storia del latte

Bumf di Joe Sacco non è perfetto. Parte da una grande idea: il presidente Obama viene sostituito da Nixon e nessuno se ne accorge. Sviluppa un impianto surreale che insiste troppo, a mio avviso, sulla metafora religiosa. Ma alcuni momenti dell'opera sono perfette. Come questo che riporto qui sotto.
Siamo tutti sotto controllo. E quindi cosa è pericoloso? Tutto quello che non si può controllare...
Enjoy!








giovedì 20 ottobre 2016

^Sigh^Life! - Leggere i fumetti e smoky



Una bella intervista di smoky man a Claudio Calia sul suo ultimo lavoro, Leggere i fumetti.
Io vi consiglio di leggerla, e riporto anche un estratto piuttosto significativo.
A presto ne scriverò anche io, di questo libro... coi miei tempi.

Nei giorni scorsi sei stato ospite della 45esima puntata di  Tizzoni d’Inferno, il podcast sul mondo del Fumetto, ideato da Tito Faraci (disponibile anche qui) che ha condotto l’incontro insieme a Matteo Stefanelli e Boris Battaglia, in teoria tuo “difensore” (qui la recensione, un po' “acrobatica”, di Battaglia del libro di Calia). In un clima seppur di giocoso cameratismo mi hanno colpito alcuni giudizi piuttosto tranchant espressi in quell’occasione, tra cui “Un fumetto sbagliato”, “Una raccolta di figurine”, “Un libro game per fumettofili…” (Matteo Stefanelli) e “Un’offesa al fumetto popolare italiano” (Tito Faraci). Confesso che mi hanno sorpreso la perentorietà delle critiche negative e, al contempo, l’ammirevole aplomb con cui tu hai reagito. Una delle critiche principali era l’assenza del fumetto popolare italiano a cui si sommava il fatto che il tuo libro sarebbe troppo didascalico senza essere personale, un’operazione un po’ furba. Vorrei darti la possibilità, se vuoi, di ribadire qui il tuo punto di vista o di meglio focalizzare la tua replica…Claudio Calia: Intanto ringrazio Tito Faraci per avermi invitato, e Matteo Scandolin (il tecnico del suono della trasmissione), Boris Battaglia e Matteo Stefanelli per avere dedicato del tempo al mio libro. Credo che molto dei toni tranchant sia dovuto al fatto che siamo persone che si conoscono da anni e che nel tempo hanno maturato una naturale franchezza a parlare di Fumetto. La trasmissione è ascoltabile da tutti e tutti possono farsene un'idea. Una volta pubblicata online ho provato a farla sentire a qualche amico e semplicemente... è incomprensibile. Autoreferenziale e involuta all'interno delle dinamiche del Fumetto, se non sei un lettore forte, appassionato anche alle dinamiche "politiche" dell'industria del Fumetto, dalla terminologia alle questioni affrontate (premi e selezioni di Fumettologica, a parte il mio libro) non troverai nulla che possa interessarti, anzi ti respingerà. Sinceramente non mi va di giustificare perché penso che un trentenne che non ha letto fumetti difficilmente comincerà a farlo acquistando un Tex. La Bonelli, solo per fare un esempio, partecipa a trasmissioni radiofoniche, televisive, ha spazi in tutti i maggiori quotidiani... davvero qualcuno aspettava me per cominciare a leggere i suoi personaggi? Non credo. Se pensi che il mio libro sia un'enciclopedia o una storia del Fumetto... non è così e ne rimarrai deluso.
Sono semplicemente… i consigli di lettura di Claudio Calia.
Leggere i Fumetti vuole essere alla portata di tutti, per andare incontro a chi i fumetti non li ha mai letti e a chi ne mastica già un pochino.
Penso che spesso ci troviamo di fronte a un equivoco, quando si parla di Fumetto: per me è sempre stato il nome di un linguaggio, per altri è la definizione di un mestiere. Questo crea un mucchio di incomprensioni.
Alla fine io rimango convinto di avere fatto un buon libro che assolve lo scopo che mi ero prefissato.

martedì 27 settembre 2016

^Sigh^Life! - Farsi venire una certa fam(e)a


                                    studio per la copertina del numero 1 di Caravan (c) Mammucari


Sono venticinque anni (!) che leggo le storie di Michele Medda. Alcune sue storie hanno fondato parte del mio immaginario. Ricordo alcuni classici: per Nathan Never Gli occhi di uno sconosciuto (con i disegni di Casini), La Rivolta (albo gigante sempre in coppia con Casini); per Dylan Dog almeno La legge della giungla/Homo homini lupus (con Freghieri) ma ce ne sarebbero altri; per Caravan La storia di Carrie (con Maresta) che mi emozionò moltissimo alla sua uscita. Capirai che di 25 anni di carriera ho citato solo una minima parte delle sue storie importanti. In ogni caso, posso dire di essere spesso stato nel fiume delle sue storie. In occasione del primo numero di Caravan (era il giugno del 2009), su Harrydice... scrivevo così dell'autore:

"Non so cosa sia Caravan, narrativamente parlando. Non ho avuto voglia di leggere anteprime, interviste, comunicati stampa. Ho comprato il primo numero al buio. Perché di Medda mi fido. Perché a Medda attribuisco senza dubbio le qualità dell’intelligenza, della professionalità non sterile ma “germinale”, dell’autonomia di pensiero e della passione per il medium fumetto."
Sono passati sette anni da allora. Medda continua a raccontare le sue storie. Ha recentemente completato una serie che ho seguito solo all'inizio, Lukas (cocreata col disegnatore Michele Benevento). Le storie che ho letto mi hanno lasciato indifferente. Ho ritrovato una voce poco in sintonia con le mie corde oggi, insieme a meccanismi narrativi prevedibili, che non mi hanno convinto a proseguire. Si può tradire una fedeltà di questo tipo, perché sai che da qualche altra parte e in qualunque momento il filo si può ricollegare al volo. 

Ma le cose non sempre vanno in modo lineare.
Sono anni complessi per il fumetto seriale in Italia. Bonelli in particolare, pur rimanendo un'azienda più che solida, da capitali importantissimi, sta cercando di modificare la propria identità, e sopratutto di ricollocarsi, rinnovarsi. Lo sta facendo in molti modi, dall'apertura alle pubblicazioni dirette in libreria, allo sviluppo di un uso del colore più maturo e moderno, al rilancio dei tanti brand che la casa editrice ha creato nel corso degli anni (in dirittura d'arrivo le nuove avventure a colori di Martin Mystere per esempio), alla realizzazione di nuove serie e miniserie, di cui la sopraccitata Lukas è parte. Ma le vendite dei fumetti in edicola calano regolarmente. Sono anni difficili. Non solo per il fumetto, aggiungerei.

Vorrei parlare di Michele Medda come aspetto esemplificativo, di una fase, che immagino collegata a un passaggio epocale. E cercare di andare oltre il caso personale. Ci sono momenti in cui le cose si fanno difficili e si rischia di chiudersi, di trincerarsi. Accade in ogni settore.

Recentemente Medda ha pubblicato sul suo profilo Tweeter, questo messaggio:


Un messaggio che sembra una boutade. Ho sorriso, ma ho anche sentito un allarme, a fronte di una contrapposizione spiacevole tra lettori e autori. Ma continuavo a sorridere. 
Poi ho letto questo:


I lettori stanno mettendo gli autori a dieta... Inizio a perdere il sorriso. 
A quel punto, scrivo un mio commento, perché mi sarebbe piaciuto avere un chiarimento su questa presunta contrapposizione, su questa idea davvero contraddittoria. Ma a quel punto segue una risposta che mette la cosa sul personale e che non capisco. Aggiungo altri commenti senza che la cosa da parte di Medda prosegua e venga chiarita. Ecco qui di seguito: 




Ricorda, usiamo questo episodio come esemplificativo. 
Intanto, per chiarire, come ho postato a Medda non sono i lettori che affamano gli autori, ma se mai i non-lettori. E, come ho ben rappresentato a inizio di questo articolo, io sono un lettore, anche un lettore assiduo, si potrebbe dire fedele, un bene per l'editoria. Un bene per gli autori. 
Un c-a-p-i-t-a-l-e. 

E allora, senza tirarla troppo per le lunghe, io vedo in questo esempio, un'insofferenza che mostra anche una sorta di crisi di identità. Dove non si capisce più bene quali sono le parti in gioco e le, eventuali, controcause. Vedo alcuni autori sempre più sulla difensiva, mentre si ripiegano in un insano vittimismo, dove assumono la parte degli incompresi. Tanto da non distinguere più gli "amici" (i lettori) dai "nemici" (i non-lettori). 
Non è un caso che mi si "usi", in un piccolo tweet, come epigono dei nemici, forse perché, lesa maestà, mi sono permesso di esprimermi in modo critico su alcuni recenti lavori dell'autore. 
Ma è l'amore per il fumetto che guida questa sciocca e cocciuta volontà di parlare di fumetti. Ne scrivevo proprio in quell'articolo sul primo numero di Caravan cui ho accennato sopra. Mi ricito, perdonami: 

"Forse non ci credete, ma io amo il fumetto popolare. Ne amo la storia, l’evoluzione e le potenzialità. È per questa ragione che ne parlo così spesso male, perché ci tengo, lo coccolo, lo seguo e ne soffro. Ogni forma di comunicazione che ha vocazione “popolare” dovrebbe sentire delle responsabilità, che stanno innanzitutto nel non sentirsi autorizzati a banalizzare, a semplificare eccessivamente per quello strano assioma – che è un pregiudizio – che più una cosa è di facile “utilizzo” più si riesce a venderla.Se la semplicità è una vocazione del prodotto popolare, dietro a essa si deve respirare il pensiero, l’intelligenza, la partecipazione e la naturalezza. Tutte caratteristiche che mancano alla maggior parte dei prodotti popolari, fumettistici e non. Perché per costituzione e per necessità, il prodotto popolare è contaminato, improprio, derivativo, meticcio … tutti aspetti che ne fanno un “oggetto non identificato”, che richiede una straordinaria capacità di sintesi e di comprendere il clima socio-culturale in cui si vive.E a chi non piace sentire ancora oggi parlare di etichette quali “popolare” dico solo che il linguaggio dell’uomo funziona perché si definiscono, implicitamente o non, delle convenzioni. E mi sento ancora oggi in diritto di far mia tale convenzione: per cui, spero sia chiaro a tutti cosa intendo quando parlo di fumetto popolare. Non è una definizione di merito, né un giudizio implicito. Ha più a che fare con il pubblico di riferimento e i meccanismi produttivi che generano tali prodotti."
Il fumetto seriale non è, non può essere sterile ripetizione di sé. E d'altra parte, come tutte le cose della vita, è soggetto a cambiamento, vita e morte. L'autore seriale lotta giornalmente in un'arena difficile, che va pienamente rispettata, dove si deve trovare un equilibrio difficile tra routine e creatività. Per di più, in questo momento proprio le sfide della casa editrice Bonelli mostrano che non è più sufficiente fare bene la parte produttiva di un fumetto, ma è sempre più centrale promuovere in modo intelligente i propri prodotti. Era stato Bruno Enna, in uno scambio in formale col sottoscritto, che a proposito della sua serie Saguaro (chiusa per poche vendite) mi disse proprio questo. L'autore deve sapersi promuovere.
E se non lo sa fare?
Ho incontrato troppi autori bravi o bravissimi, che non hanno nel sangue la capacità di promuovere presso il pubblico potenziale i propri lavori. D'altra parte, soprattutto in una realtà produttiva come quella della Bonelli, sono fermamente convinto che sia ruolo chiave dell'azienda realizzare anche questo pezzo del lavoro. Le cose si stanno muovendo molto lentamente, e in modo poco organico. I vari "mondi narrativi" dell'editore milanese sembrano comportarsi come isole distanti, ognuna con velocità e modalità diverse. Anche nel rapporto con la critica specializzata c'è difformità, di velocità e metodi.

Tornando a Medda, vedere nel sottoscritto un nemico esemplare appare completamente fuori fuoco. Credo che sia parte del mestiere non vedere i potenziali lettori come controparti, ma come alleati da consolidare, trattenere, sorprendere. 
Un esempio riguarda Medda da molto vicino. Mai come in questi ultimi due anni il brand di Nathan Never è apparso tanto in caduta libera. Perdita di personalità, di solidità, di visibilità, e altre cose con l'accento sulla A. Non so dire cosa sia effettivamente successo all'interno della casa editrice, ma da esterno, si è notato un calo di investimento progettuale su Nathan Never, insieme a un ricambio di autori storici molto importanti.
Oggi, a settembre 2016, si vedono i segni di una controtendenza. Complici i festeggiamenti per i 25 anni di vita editoriale, stiamo leggendo alcune delle storie migliori che siano state realizzate sulla serie, guarda caso a firma proprio dei suoi creatori (che ricordo sono Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna).


Sulla serie regolare (nn. 301-303) Antonio Serra, insieme ai disegni di un Sergio Giardo pienamente ispirato, ci offre il suo canto del cigno come sceneggiatore. A suo dire non tornerà a scrivere per la serie e svolgerà solo il ruolo di editor. Questo saluto, oltre a mettere ordine a tanti elementi di continuity che vengono risolti e chiariti, ha una forza narrativa che sembra emergere proprio dallo stato di chiusura di una fase di vita, personale e professionale. Impossibile indovinare l'autocoscienza di un'altra persona, ma credo che questa particolare condizione abbia reso ogni pagina di questi tre numeri di Nathan Never tanto eclatanti quanto definitivi. Si vede uno sforzo "memorabile", nella cura dei dettagli e nella volontà di colpire ed emozionare, che si sposa perfettamente con le tematiche cosmiche di cui tratta. 
Completamente diversi gli umori e la sensibilità che mette in gioco Bepi Vigna con la seconda sequenza di storie importanti che stanno uscendo attualmente in edicola. Si tratta di Nathan Never Anno Zero, con i disegni del sempre evocativo Roberto De Angelis. Non si respira, qui, il senso di una fine, ma proprio il senso della costruzione di nuove fondamenta narrative. Vigna è talmente bravo che sa accontentare i lettori di vecchia data come me, e incuriosire i potenziali nuovi lettori. La miniserie di sei numeri è solida, sta in piedi da sola, svolgendo però perfettamente la funzione che ogni "Anno Zero" ha per tradizione: raccontare da altri punti di vista il passato del personaggio, ricapitolando gli eventi, accentuando quelli che si ritengono più in sintonia con il presente della serie. Un lavoro ricco di amore e dedizione.



Insomma, e chiudo, è da questi due esempi che vorrei cogliere un segnale: professionalità e passione si incontrano per dare forma a storie che si vogliono memorabili. Il seriale italiano ha bisogno a mio avviso di questa energia. Non per fingere eventi imperdibili che non esistono (come spesso accade per esempio nel fumetto statunitense) ma per rafforzare l'alleanza vitale tra autori e lettori.
I lettori danno da mangiare agli autori, in qualità di destinatari finali di una filiera complessa. La loro alleanza è vitale per il fumetto seriale, per il fumetto tutto.


^Sigh^Life! - L'intervista perduta di Sergio Gerasi



Era Lucca Comics and Games 2014.
Nei miei giri tra gli stand avevo incontrato Sergio Gerasi. Presentava per Bao Publishing il suo nuovo lavoro "autoriale" In inverno le mani sapevano di mandarino. Gli chiesi la disponibilità per un'intervista in anteprima. Lessi il libro la sera di giovedì. Venerdì facemmo l'intervista.
Sergio è una persona con la quale è bello chiacchierare. Ha un suo punto di vista sulle cose, è aperto, si mette in gioco, ha una sensibilità rara, ed è molto simpatico.
In inverno le mani sapevano di mandarino è un libro imperfetto ma ricco, frutto di un lavoro di ricerca, che tratta temi a me molto cari, riguardanti la memoria, l'invecchiamento, la perdita di sé, la fiducia... Lavoro da molti anni con persone affette da deterioramento cognitivo. Quel mondo, quel pezzo di umano che sfugge alla vista di molti ma che terrorizza nel silenzio, ha una vitalità e potenza, anche ideativa, che pochi sospettano. Il libro di Sergio mi ha riportato in modo curioso e intelligente quelle sensazioni. Ma soprattutto in quelle pagine Sergio, muovendosi in una sua Milano onirica e, per questo, immaginaria, inconscia, offre molto di sé al lettore, si mostra in un processo di rielaborazione personale. 
Certo, il libro svela anche, ancora, la necessità dell'autore di proteggersi dietro a meccanismi narrativi non sempre chiari. Se dovessi dare un consiglio, e ricordo di averne parlato con lui durante l'intervista, era di trovare una voce più diretta. Ma nessuno può dire meglio dell'autore per quale storia è pronto, a cosa è possibile accedere perché si trasformi in narrazione.
Per inciso, il mio rapporto diretto con Sergio risaliva a qualche anno addietro, durante la prima edizione della 24 Hours Italy Comics, della quale lui fu uno dei protagonisti. In quell'esperienza Sergio si cimentò per la prima volta con il suo "personaggio", che torna in ogni storia "autoriale" che ha fatto finora. Anche di questo parlammo nell'intervista. Fu proprio quella prima occasione che offrì a Sergio l'occasione di cimentarsi con un proprio personaggio, e soprattutto di accendere la scintilla della sua voce "autoriale", che andasse oltre la sua professione di disegnatore di fumetti seriali.
Non so, a distanza di due anni, che riscontro di vendite abbia avuto In inverno le mani sapevano di mandarino. Non ho avuto modo di incontrare nuovamente Sergio in questi due anni. Lo vedo impegnato su Dylan Dog. E spero avremo modo di chiacchierare presto.
Nel frattempo, tuttavia, quell'intervista non ha mai visto la luce, è ancora chiusa in un cassetto, per colpa dei miei molti impegni personali e professionali, che spesso mi tengono lontano dal mondo del fumetto. E il tempo è ormai passato. Quindi questo mio articolo, oltre che un modo per ricordare il suo lavoro, che merita di essere letto, è anche un modo per chiedere scusa per un impegno mancato.
Chissà se Sergio si è dimenticato di questa mia mancanza. La perdita di memoria può essere una tragedia, ma anche una sana benedizione, a volte.

info: In inverno le mani sapevano di mandarino





mercoledì 20 luglio 2016

Jones e altri sogni

^Sigh^Score! 6/6

Quando la skyline si abbassa con te
è tutta la tua esistenza che si siede.
Di queste magie e condensazioni
sono fatti i sogni di Jones.
Tutto quello che osserviamo intorno a noi
è specchio del nostro sentire.
Tutto è un sogno, una proiezione.
Il miracolo, se mai uno, è capirsi,
è incontrare l'altro, anche per brevi istanti.


info: Jones e altri sogni, ed. Rizzoli Lizard




mercoledì 1 giugno 2016

^Sigh^Life! - Tra la casa e il cosmo



Recentemente sono entrato negli universi di due autori, Paco Roca e Marino Neri. Il primo mi ha accolto nella sua vecchia casa di famiglia, eredità del padre ormai scomparso. Il secondo mi ha legato a un'ideale di fuga mai compiuta, tra campi verdi e stellate notturne.

Non è facile saper raccontare l'Uomo e il suo legame con l'assoluto. Quel sentire che ci apre e trasporta dall'egotismo del nostro mondo intrapsichico alla visione della nostra appartenenza al tutto che è natura, universo, molecole, materia, vibrazione, esistenza, dio, ... A ciascuno il suo.
Descrivere la nostra appartenenza di esseri viventi consapevoli a qualcosa di talmente ampio da risultare razionalmente inconcepibile, ma che si manifesta, giorno dopo giorno attraverso la nostra capacità di stare, di sostare, di ascoltare.
Puoi seguire le due strade opposte esemplificate da La Casa di Roca (ed. Tunuè) e da Cosmo di Marino Neri (ed. Coconino Fandango).

La prima strada: il quotidiano, il minimale sentire prosaico dello scorrere del tempo, nel tempo della vita, tra affetti, gesti, dialoghi, perdite e legami. Dove l'appartenenza al tutto deriva dalla comprensione profonda del senso di ogni passo che facciamo sulla nostra strada. Dalla ricerca di un senso, di una vocazione, di un esserci. Da quelli che appaiono come i più insignificanti accadimenti di una vita, radicati nell'albero genealogico, nello scorrere di infinite generazioni, dove ogni nostro posto collocato nel fiume infinito di antenati e figli, si fa testimonianza e visione, alla totalità delle esperienze dell'esistenza, nella fusione di minerali, vegetali, animali, materia, energia.
Paco Roca sceglie una casa, un macrocosmo rispetto al microcosmo di una singola vita (e di una famiglia), un microcosmo rispetto al macrocosmo dell'universo, e ci accompagna per mano nell'indicibile vuoto (nell'accezione buddhista) della realtà. Ogni cosa esiste perché ne esistono infinite altre. Questo è perché quello è. Tutto è inter-dipendente, inter-connesso. I concetti di morte e nascita sono inesatti, perché un modo improprio per definire delle semplici mutazioni di condizioni, di stato. L'autore spagnolo arriva a toccare il fondo della questione, o il suo vertice, grazie alla delicatezza della sua narrazione, alla spontaneità della "recitazione", alla scelta musicale di ritmo, tempi, suono e silenzio. La sua "voce" è talmente sottotraccia da essere radicale. Immanente, si potrebbe dire. Emozioni e vicende dei protagonisti si sviluppano in un alternanza di luci e ombre che rappresentano senza alcuno sforzo tutto quello di cui filosofi, teologi, ricercatori spirituali, scienziati si occupano da sempre. In questo farsi grande di una piccola testimonianza di vita si ritrova la grandezza di Roca e della sua limpidezza espressiva.




La seconda strada: l'audace osservazione capovolta, dal cielo alla terra, che pone le domande prima della vicenda, che mostra da subito gli elementi di una dimostrazione filosofica, svolta attraverso il procedere semplice di una crisi esistenziale, fortemente simbolica ed esemplare. Un procedimento meccanico, deduttivo, che si traduce in sforzo ermeneutico e sillogistico. 
Marino Neri sceglie il cosmo, tutto intorno a noi e nel nome, nel destino del protagonista, per il suo esperimento. Ma il semplice diventa semplicistico, l'analisi riduzionismo, l'osservazione da totale a parziale, sfocata e dispersa. Non esiste testimonianza, non esiste verità, non esiste autenticità ed emozione. Ma solo accadimenti esemplari, quindi scontati, quindi poveri di senso, perché precostituiti a priori e privati del respiro dell'esperienza. Una pigra riflessione sull'esistere che non offre spunti nuovi, che non si manifesta nella coscienza del lettore e che si ripiega su se stessa, per mancanza di un pensiero lucido e pienamente disteso, sviluppato.



L'obiettivo ultimo di Roca e Neri è lo stesso ma l'approccio contrapposto. I due lavori sono un ottimo punto di partenza per qualunque autore di ricerca che volesse comprendere come dare senso alle storie di realtà. Roca vola, Neri precipita. Roca comprende, Neri si perde. Roca raggiunge, Neri insegue. Roca trova casa, Neri è intrappolato in una fuga senza fine. 

Per chiudere, vi saluto con la tavola di apertura di La Casa di Roca, che riassume in sé tutta una vita. Viene rappresentato, nel modo che vedete, l'ultima volta in cui un uomo esce dalla propria casa, per non tornarci più, portato via dalla sua esistenza. Tutto è qui. Chi ci avverte che oggi è la fine?


info: La Casa di Paco Roca; Cosmo di Marino Neri

lunedì 23 maggio 2016

La mia voce fuori dal coro - Intervista a Pasquale Squaz Todisco




Con grande piacere, pubblico qui la versione integrale dell'intervista a Pasquale "Squaz" Todisco.
Si tratta di un'intervista a cui ho lavorato a lungo, grazie anche alla grande disponibilità dell'autore, che mi ha dedicato due mattinate intere di domande e risposte, e mi ha dato molto materiale per documentare i suoi lavori.
Non solo. Al termine dell'intervista, che puoi leggere qui sotto o scaricare sul tuo pc, trovi anche l'inizio di una storia inedita e mai completata di Squaz.
Credo che abbiamo bisogno di autori come Pasquale, che hanno voglia di studiare, ricercare e sperimentare forme e linguaggi, in una sorta di continua lotta per trovare una voce originale e potente nel panorama fumettistico italiano.
Spero che sia un piacere per voi leggerla quanto è stato per me e Squaz realizzarla.

Infine, ringrazio enormemente Ettore Gabrielli de LoSpazioBianco.it che pubblica uno stralcio dell'intervista, relativa agli ultimi lavori di Squaz. LoSpazioBianco.it continua a fare un ottimo lavoro, e vorrei solo potervi contribuire più spesso.


venerdì 22 aprile 2016

Maledetta Balena

^Sigh^Score! 5/6


Avevo già letto la maledetta balena in fase di lavorazione. 
Oggi prende vita in un libro, stampato, e si offre all’esperienza di lettura di tante persone. 
Profonda delicatezza. colta "popolarità". 
Di questo libro funziona anche il ritmo, pacato e morbido ma coinvolgente. 
Trovo una sensibilità che risuona. Che parla della malattia in modo intelligente. 
Condividere esperienze di dolore, di fine vita, 
Entrare nel mondo di ricordi frantumati, sfocati, persi.
E sentirsi felici di essere vivi. 

Ut 1

^Sigh^Score! 2/6


Perdersi nelle pagine e nella fascinazione di disegni
ormai noti. Il ricordo adolescenziale di un modo di
raccontare
dove il come sostituisce il vuoto del cosa.
Il lettore sbadiglia e la claustrofobia che dovrebbe
stringere le budella narrative della pancia del racconto
si trasforma in noia e ripetizione. Con una domanda:
a chi importa del gatto? Era un gatto?!
O una grande metafora della vita?

info: Ut

Il tesoro dei Marvel

^Sigh^Acore! 5/6

Ritorna lo spettacolo dei tempi andati.
In un movimento più omogeneo e meno sincopato
dei precedenti lavori
Brian Selznick conferma la sua invenzione,
il suo formato, e produce fascinazione ed emozioni
per tutte le età.
Il teatro come il cinema? La mimesi dell'arte.
Dove una cosa sta dentro all'altra che è dentro
a un'altra.

info: Brian Selznick

Nuovo Mondo, Orfani - 4, 5, 6

^Sigh^Score! 4/6

Nella ricostruzione fenomenologica
dell'avventura supereroica qualcosa resta
sul campo della disavventura.
Ma nel movimento lineare di queste tre storie
il ritorno del rimosso eroico lega il lettore
ai personaggi e alle loro lotte quotidiane.
C'è colore.


info: Nuovo Mondo

sabato 27 febbraio 2016

^Sigh^Life! - Nuovi orrori per Dylan Dog e la nuova vittima sacrificale del seriale

marco galli

Il mese di febbraio ha visto due uscite importanti per Dylan Dog. Si tratta dell'esordio sulla serie regolare dello sceneggiatore Fabrizio Accatino (con i disegni di Luca Casalanguida), sul numero 353 dal titolo Il Generale Inquisitore; e del sedicesimo numero di Dylan Dog Color Fest, con altri tre esordi per certi versi clamorosi ma ormai da tempo annunciati: Ausonia, Aka B e Marco Galli. Partiamo dal secondo.

Il Color Fest è una formula editoriale che fino a oggi ha visto la presentazione di storie brevi, con la "novità" del colore, che hanno cercato di presentare l'Indagatore dell'Incubo con modalità inedite, o per lo meno insolite. Ricordo una storia di Vanna Vinci dove Dylan viene trasformato nella vittima di uno dei tipici personaggi metafisici dell'autrice sarda. Ricordo un numero realizzato tutto al femminile. Ricordo poco altro. La formula del Dylan Dog Color Fest, finora, ha lasciato più cadaveri che vivi. Perché? Perché scrivere storie brevi è maledettamente difficile, e il più delle volte questo arduo compito è stato affrontato dai numerosi autori che ci hanno provato con una certa superficialità, risolvendo in "piccola forma" quanto siamo abituati a leggere sul mensile. 
Il numero 16 supera in parte questo difetto strutturale e concettuale. Della storia editoriale di Ausonia, Galli e Aka B non vorrei dire nulla in questa sede, se non che seguo da anni i loro lavori.

marco galli

Di Galli ho recentemente letto il suo Nella camera del cuore si nasconde un elefante e ho potuto intervistarlo in occasione dell'ultima BilBOlBul (la trovi su LoSpazioBianco.it). Il suo racconto su Dylan è senza dubbio il più interessante. Mi piace la sintesi del tratto, la chiarezza nell'intenzione, l'amarezza e l'inquietudine riflessa generate dal finale. La sua scelta nell'affrontare l'esercizio del racconto breve, nella ricorsività suggerita dal finale, è quella di inserirsi come un flash all'interno di uno sviluppo narrativo più ampio.


aka B

La storia di Aka B ha il maleficio tipico della sua sensibilità ipocondriaca e malsana, dove ogni cosa procede come in un imbuto. Sai che stai precipitando nel buco, non ti piace, ma è inevitabile.
Il giorno prima della pubblicazione avevo avuto la fortuna di leggere in anteprima un suo lavoro in coppia con Pasquale Squaz Todisco, al momento sfortunatamente inedito, La soffitta. La sua realizzazione è interessante e rivela l'approccio intuitivo di Aka B. Squaz aveva una serie di tavole già realizzate ma senza una storia. Le ha date in mano a Aka B, il quale ha creato dal nulla la storia lavorando in giustapposizione con le tavole di Squaz. Funziona, perché il segno di quest'ultimo è ricco di simboli e suggestioni, che rimandano con chiarezza a tematiche specifiche, che per estrema sintesi potremmo definire underground. Se leggi la storia di Aka B senza guardare i disegni, ammesso che ipotizzare questo esercizio a posteriori abbia senso, puoi rintracciare tutti i tratti che caratterizzano il suo stile, la sua visione del mondo e dell'arte.

squaz e aka B, da La Soffitta, storia inedita

In Dylan Dog questa matrice si ripropone, e la sensazione malsana arriva, forse in superficie, ma senza colpire davvero il lettore. Aka B sembra fermarsi esattamente là dove ti aspetti. Non ha originalità o guizzi particolari, per chi lo conosce. Il suo approccio intuitivo non approfondisce.  Pigrizia? Semplificazione? Mestiere? Non so. Quel che è certo è che per un lettore appassionato di Dylan Dog e poco altro, il suo sguardo e il suo segno saranno apparsi tremendamente alieni, e questa in sé potrebbe rappresentare già una sfida vinta.


ausonia

Il punto di non ritorno è però posto dalla prima storia, quella realizzata da Ausonia. Il suo tratto colto, gelido, elaborato immobilizza la storia in una sequenza statica che non sembra offrire alcuno sguardo sulla realtà. L'autore sceglie di omettere qualunque collegamento con l'orrore quotidiano, se non uno: la serialità delle produzioni a fumetti. 
Ausonia segue e sviluppa in un contesto seriale alcune idee già affrontate nel suo precedente lungo lavoro Interni e si permette una feroce riflessione sulla produzione del fumetto Bonelli all'interno del recinto Bonelli stesso. Ecco il paradosso, voluto dall'autore e accolto dal curatore della testata (Roberto Recchioni): Ausonia mette in scena il sacrificio umano (di tempo, forze, energie creative, intelligenza, talento, ecc.) richiesto dalla casa editrice per la realizzazione mensile di Dylan Dog, senza risparmiare una rappresentazione maligna dello stesso e compianto patron Sergio Bonelli. 
Non so dire se la riflessione funziona e arriva nel suo intento. Non so dire in effetti quale sia il reale intento. Come per Interni, l'eccesso di intellettualismo di Ausonia congela eccessivamente la storia. Il lettore non si emoziona. Figuriamoci un lettore senza i codici di accesso a questa riflessione meta-fumettistica. Certo è che appare interessante vedere una tale rappresentazione del lavoro seriale all'interno di un fumetto realizzato dalla Bonelli. La sfida più grande, in effetti, sembra essere propria la possibilità di pubblicare tale lavoro in questo modo, con il consenso della casa editrice. Una vittoria? Un cavallo di Troia?




La visione proposta da Ausonia sembra trovare immediata conferma nel seriale, con l'esordio di Accatino. Quest'ultimo è sceneggiatore intelligente, che ha iniziato in Bonelli, se non erro, sulla serie de Le Storie, con un horror ben scritto ma fin troppo derivativo (La pattuglia), e poi, ancora per Le Storie, con un piccolo gioiello in coppia con Paolo Bacilieri. Era una storia western esemplare (Il prezzo dell'onore) che in compagnia di poche altre vale tutto il progetto de Le Storie.
Ebbene, il suo Dylan Dog n. 353 cade ferito nell'assorbimento edulcorante e normalizzante della legge seriale, e si dimostra spento, prevedibile e privo di qualunque pathos. Le debolezze, ahimè tipiche appunto del mensile, sono: la mancanza di sintesi; l'anti-climax per il quale i cattivi di turno vanno loro stessi dal protagonista, vanificando (su un piano narrativo) tutta la sua indagine; il finale che spiega (certo, senza la solita verbosità, ma nulla davvero cambia) quanto ogni lettore aveva già capito e archiviato, con tanto di sorriso annoiato, dopo la risoluzione dell'evento drammatico che coinvolge Dylan.
Ecco, secondo il principio sostenuto da Ausonia nella sua storia breve, anche Accatino è vittima sacrificale del meccanismo seriale, che tutto consuma e distrugge, in nome di una veste rassicurante, prevedibile e sempre uguale a se stessa. 

martedì 9 febbraio 2016

^Sigh^Life! - La Proprietà, ovvero come l'artista sparisce nella sua propria voce



Da tempo non leggevo un fumetto chiaro, equilibrato e potente come La Proprietà di Rutu Modan (Rizzoli).
Avevo amato molto il suo esordio italiano in Unknown/Sconosciuto, pubblicato da Coconino Press. E l'ultimo suo lavoro tradotto nel nostro paese conferma e rilancia.

Qui c'è uno sguardo lucido, una voce asciutta ma che sa parlare al cuore. Porta il suo punto di vista ai lettori senza compromessi, senza mezze verità o isolandosi in una qualche piega surrealista. No. Il suo segno è tutto ciò che ci serve vedere. I personaggi prendono vita dalla grande attenzione nella rappresentazione dei gesti e del ritmo delle posture e degli scambi relazionali.
Tutto è relazione, nel racconto di Rutu. Anche gli oggetti, per esempio la proprietà della casa cui fa riferimento il titolo, sono parte di un processo dialogico, tra protagonisti, tra presente e passato, tra aspettative ed eventi, tra generazioni. Una narrazione psicologica che coglie però l'aspetto per così dire leggero della memoria e della mente. E che si sviluppa attraverso le azioni di ogni personaggio nelle diverse dimensioni relazionali che ho elencato.
Rutu commuove, senza mai apparire indulgente o sentimentale. Perché lascia che siano gli eventi a mostrare, con naturalezza e nitidezza, cosa c'è in gioco, passo dopo passo. Non interpreta, non prende parte, non interferisce attivamente con la narrazione, se non per quello che compete all'autore. Un paradosso, certo. Ma è in questo suo scomparire dietro alla storia, che ci mostra la sua forza di artista, che afferma la sua voce più autentica.

info: La Proprietà, Rutu Modan





venerdì 15 gennaio 2016

^Sigh^Life! - I Solchi del Destino



La memoria è una spugna, un filtro, un sogno, una storia, ...?
Paco Roca passeggia nei ricordi di un superstite della guerra e attraversa le ferite del nostro continente. Chi ricostruisce una testimonianza? Come avviene?
Nelle parole del vecchio quali voci sono reali, quali immaginarie, quali distorte, quali autentiche?
Il lavoro della ricostruzione è ardua. Limitatamente alla durata di una parabola di vita, insignificante. Rapportato ai processi storici, esemplare. Ma dove si ferma e si deposita la verità?
L'autore spagnolo è un talento raro nel panorama europeo dal momento che non si ferma davanti alle sue certezze e ai traguardi artistici raggiunti. Ma prosegue accogliendo le sfide.
Il materiale raccolto da un sopravvissuto... Immagina la reticenza, la superbia, la tristezza, la parsimonia, lo squilibrio delle fonti, l'unicità del punto di vista, la costruzione di una teoria o di una dimostrazione...
Un fumettista intervista, registra e accumula materiale grezzo che deve essere lavorato e trasformato. Dove fermarsi? Cercare un messaggio e una teoria sull'Umanità, sulla Guerra, sulla Vita... Perché?
E il narcisismo di realizzare un'opera che si suppone necessaria?
E l'esigenza di dare forma a una testimonianza autentica e chiara?
Rimane davvero lo spazio nella coscienza per il fiato di un ricordo?
Avverto un tremore. L'oblio. L'uomo e il suo sogno si perdonano tutto tranne l'oblio. Nell'insonnia si trasferisce la mente incessante. Il parlare tra sé infinito. Le infinite vite ci attraversano. Ma non l'oblio. Impossibile l'oblio. Ma non selettivo. Scompare quel che vuole, per presunzione, il nostro inconscio, individuale/collettivo, e traspare in controluce la sua ombra. Rimane quel che serve a mostrare di noi la nostra teoria di vita, la nostra ossessiva e compulsiva ripetizione.
Dovremmo meditare, nel silenzio, per lasciar andare l'impossibilità dell'oblio, l'ossessione della memoria, e recuperare quel che davvero è necessario.
Paco Roca racconta l'incontro. Come ogni testimonianza.
Mi coinvolge, Paco Roca. Da questo suo nome ridondante alla semplicità del suo tratto, così pulito, così "piccolo" e poco "artistico", così comunicativo. E poi il silenzio. Le sue tavole sono spugna, filtro, sogno, storia, ...


Provare a capire.
Provare a riposare davvero.


info: I solchi del destino, Paco Roca, Tunué

^Sigh^Life! - Il coma creativo



Quando Jacobs creò lo "standard" Blake and Mortimer realizzò un processo creativo innovativo, per quegli anni. Era la fine degli anni '40. Poi perfezionò la formula. 
Quando nel 2014 quella stessa formula viene riproposta per l'ennesima volta in modo rigido dai suoi epigoni, nello specifico Yves Sente, André Juillard ed Étienne Schréder, non c'è ormai alcuna fiamma di vitalità rimasta. 
Ricorda, quel che ha avuto successo per la sua freschezza e vitalità viene nei decenni congelato per non tradire il pubblico che aveva conquistato. Salvo perdere così il senso stesso del suo successo. 

Questo principio, applicabile in moltissimi altri prodotti seriali, è fondato sull'effetto nostalgia e la rassicurazione intellettuale. E ne sancisce il coma, una lunga e confusa parvenza di vita creativa. 

Speciale Nathan Never 26 - Arkadin il sicario

^Sigh^Score! 4/6

La sopravvivenza della specie.
Il tentativo di prevedere gli eventi.
Una ricerca che si nasconde in altre.
Il cigno nero.
Un incontro artistico che si rinnova
e i segni del tempo che si vedono tutti.
La lentezza come cifra stilistica
o come obbligo del formato editoriale?
Avere fede.

info: Speciale Nathan Never 26