Tre numeri per il rilancio tanto atteso di Dylan Dog, finora. Tre
numeri che non funzionano. Il resto, al tempo. Ma fermiamoci qui.
Intanto le tre firme alle sceneggiature: Roberto Recchioni, Paola Barbato, Gigi Simeoni. Sono tre
degli assi portanti del nuovo corso della serie. Il terzo è la novità e,
ammetto, quello da cui mi attendevo di più, visto la qualità delle sue prove
precedenti. Ma il sig. Dog ormai sembra un buco nero creativo.
La prima storia, Spazio Profondo, un numero a colori sceneggiato da Roberto
Recchioni con i disegni di Nicola Mari, ha almeno tre pecche: una storia piatta
sul piano emotivo, una chiusura con ribaltamento finale che nemmeno negli anni ’80,
un protagonista talmente diluito tra i suoi cloni da nascondersi nelle pagine e
nella trama. La storia scivola via, invece di scorrere, nel totale e disarmante
disinteresse del lettore, che rimane colpito dalla banalità feroce della
chiusura.
La seconda, Mai più, Ispettore Bloch, è firmata Paola Barbato e Bruno Brindisi. Siamo al minimo sindacale. Il soggetto è sciocco, non mi viene altra parola. La logica narrativa con cui Barbato muove la Morte avvilisce anni (secoli) di storie sul valore simbolico che la riguarda. Non c’è ironia, non c’è poesia, non c’è paura, non c’è. E basta. E nel frattempo, il famoso Ispettore Bloch reagisce al pensionamento con la più prevedibile delle modalità… rimbambendosi totalmente. Brindisi fa il suo lavoro con professionalità, ma non so cosa darei per vederlo lavorare (di nuovo) su altri personaggi, con quella sana voglia di rimettersi un po’ in discussione sul piano artistico.
La terza, Anarchia nel Regno Unito, di Gigi Simeoni e Giampiero Casertano (con Recchioni a supporto nel soggetto) è la delusione maggiore. Dylan viene calato in un contesto che lo estranea, in modalità che sono del tutto guidate da necessità narrative avulse da qualunque coerenza psicologica, dove si ritrova a muoversi scomodamente secondo eventi che lo snaturano completamente. Non mancano i momenti efficaci, perché Simeoni e Casertano sanno raccontare. Ma nel complesso, la storia non regge. Le parti meno comprensibili, quando l’Ispettore Carpenter riarma Dylan Dog; come improvvisamente gli lasciano (relativa) possibilità di movimento, in pieno contrasto con la durezza e lo scetticismo dell’apertura di storia; e il quasi bacio con relativo ammanettamento finale. Infantile.
La seconda, Mai più, Ispettore Bloch, è firmata Paola Barbato e Bruno Brindisi. Siamo al minimo sindacale. Il soggetto è sciocco, non mi viene altra parola. La logica narrativa con cui Barbato muove la Morte avvilisce anni (secoli) di storie sul valore simbolico che la riguarda. Non c’è ironia, non c’è poesia, non c’è paura, non c’è. E basta. E nel frattempo, il famoso Ispettore Bloch reagisce al pensionamento con la più prevedibile delle modalità… rimbambendosi totalmente. Brindisi fa il suo lavoro con professionalità, ma non so cosa darei per vederlo lavorare (di nuovo) su altri personaggi, con quella sana voglia di rimettersi un po’ in discussione sul piano artistico.
La terza, Anarchia nel Regno Unito, di Gigi Simeoni e Giampiero Casertano (con Recchioni a supporto nel soggetto) è la delusione maggiore. Dylan viene calato in un contesto che lo estranea, in modalità che sono del tutto guidate da necessità narrative avulse da qualunque coerenza psicologica, dove si ritrova a muoversi scomodamente secondo eventi che lo snaturano completamente. Non mancano i momenti efficaci, perché Simeoni e Casertano sanno raccontare. Ma nel complesso, la storia non regge. Le parti meno comprensibili, quando l’Ispettore Carpenter riarma Dylan Dog; come improvvisamente gli lasciano (relativa) possibilità di movimento, in pieno contrasto con la durezza e lo scetticismo dell’apertura di storia; e il quasi bacio con relativo ammanettamento finale. Infantile.
Ora, sgombriamo un equivoco. Non sono un rigido amante del vecchio Dylan Dog.
Non sono di quelli che ritengono che i personaggi non possano essere svecchiati,
rinnovati, modificati, ecc. ecc.
Ma non riesco a sopportare il semplicismo. Non mi piace vedere la superficialità con la quale i creativi di casa Bonelli stanno affrontando lo sviluppo (fondamentale) di questo personaggio. Non mi piace l’eccessivo schematismo, dove le scelte della trama, necessarie ed imposte esternamente per esigenze degli autori, sviliscono qualunque verosimiglianza psicologica e ridicolizzano l’intelligenza espressiva degli autori.
Sono severo? C’è l’urgenza di dare spessore a Dylan Dog, non di schiacciarlo con scelte banali. Va bene citare Spider-Man nelle copertine, ma ridicolizzare Dylan Dog con commenti che nemmeno il buon Stan Lee dei tempi d’oro… Credo che il problema sia la comprensione reale del ruolo che Dylan dovrebbe avere oggi nella scena fumettistica italiana. Il problema ha a che fare con l’horror, e il suo senso nella post-modernità. Perché sappiamo che è quasi impossibile realizzare un buon horror a fumetti. Lo sappiamo tutti, no? Eppure sappiamo di quali e quante possibilità inesplorate ci siano. La ricetta dell’horror di Dylan Dog, che dovrebbe funzionare ancora oggi, è inserire nelle sue storie la follia dell’orrore quotidiano. Esploderlo in tutte le sue contraddizioni, ora con poesia, ora con ironia, ora con semplice “cattiveria”. Ma ho l’impressione che agli autori (quelli prima della nuova fase e quelli successivi) non abbiano affatto la capacità di sintonizzarsi e, soprattutto, di raccontare di cosa è fatto questo liquido orrore quotidiano di oggi, questa sua costante tensione sottotraccia, questa sua invadenza e viscosità.
La storia di Simeoni è la precisa dimostrazione di ciò. Il terrorismo, le manifestazioni di piazza, la violenza delle masse, … sono temi centrali delle paure che oggi attraversano il mondo occidentale. E come vengono affrontate? Con il solito (e per nulla inquietante) riferimento a una passata morte violenta, una sorta di possessione demoniaca di piazza, e trasformando la serie in una sorta di action comics dove il coinvolgimento emotivo viene azzerato. Qualche spruzzata di riflessione sociale qua e là, e il gioco è fatto. Un gioco, appunto. Quando si dovrebbe fare sul serio. Quando gli autori dovrebbero provare a sporcarsi le mani con quello che fanno, e mettersi davvero in discussione. Partendo dal soggetto. Se senti che il soggetto è troppo scontato, che le soluzioni che pensi sono incoerenti o superficiali, sei sulla cattiva strada. Se al soggetto sacrifichi la coerenza psicologica, e lo sviluppo diventa avvilente per il protagonista, stai sbagliando.
I segni sono questi, e ci sono tutti. E prima ancora che di incapacità degli autori, vorrei che la conclusione di questo cattivissimo articolo facesse riflettere sui tempi, i tempi che corrono. Il seriale ha bisogno di tornare a fare sul serio. Divertendo. Divertendosi. E non a svolgere compitini marketing oriented.
E questo è più o meno tutto.
Ma non riesco a sopportare il semplicismo. Non mi piace vedere la superficialità con la quale i creativi di casa Bonelli stanno affrontando lo sviluppo (fondamentale) di questo personaggio. Non mi piace l’eccessivo schematismo, dove le scelte della trama, necessarie ed imposte esternamente per esigenze degli autori, sviliscono qualunque verosimiglianza psicologica e ridicolizzano l’intelligenza espressiva degli autori.
Sono severo? C’è l’urgenza di dare spessore a Dylan Dog, non di schiacciarlo con scelte banali. Va bene citare Spider-Man nelle copertine, ma ridicolizzare Dylan Dog con commenti che nemmeno il buon Stan Lee dei tempi d’oro… Credo che il problema sia la comprensione reale del ruolo che Dylan dovrebbe avere oggi nella scena fumettistica italiana. Il problema ha a che fare con l’horror, e il suo senso nella post-modernità. Perché sappiamo che è quasi impossibile realizzare un buon horror a fumetti. Lo sappiamo tutti, no? Eppure sappiamo di quali e quante possibilità inesplorate ci siano. La ricetta dell’horror di Dylan Dog, che dovrebbe funzionare ancora oggi, è inserire nelle sue storie la follia dell’orrore quotidiano. Esploderlo in tutte le sue contraddizioni, ora con poesia, ora con ironia, ora con semplice “cattiveria”. Ma ho l’impressione che agli autori (quelli prima della nuova fase e quelli successivi) non abbiano affatto la capacità di sintonizzarsi e, soprattutto, di raccontare di cosa è fatto questo liquido orrore quotidiano di oggi, questa sua costante tensione sottotraccia, questa sua invadenza e viscosità.
La storia di Simeoni è la precisa dimostrazione di ciò. Il terrorismo, le manifestazioni di piazza, la violenza delle masse, … sono temi centrali delle paure che oggi attraversano il mondo occidentale. E come vengono affrontate? Con il solito (e per nulla inquietante) riferimento a una passata morte violenta, una sorta di possessione demoniaca di piazza, e trasformando la serie in una sorta di action comics dove il coinvolgimento emotivo viene azzerato. Qualche spruzzata di riflessione sociale qua e là, e il gioco è fatto. Un gioco, appunto. Quando si dovrebbe fare sul serio. Quando gli autori dovrebbero provare a sporcarsi le mani con quello che fanno, e mettersi davvero in discussione. Partendo dal soggetto. Se senti che il soggetto è troppo scontato, che le soluzioni che pensi sono incoerenti o superficiali, sei sulla cattiva strada. Se al soggetto sacrifichi la coerenza psicologica, e lo sviluppo diventa avvilente per il protagonista, stai sbagliando.
I segni sono questi, e ci sono tutti. E prima ancora che di incapacità degli autori, vorrei che la conclusione di questo cattivissimo articolo facesse riflettere sui tempi, i tempi che corrono. Il seriale ha bisogno di tornare a fare sul serio. Divertendo. Divertendosi. E non a svolgere compitini marketing oriented.
E questo è più o meno tutto.
Il nuovo ciclo di Dylan Dog è un disastro. E' quello che succede quando si mette un personaggio importante in mano a scrittori privi di originalità.
RispondiEliminaIn effetti gli ultimi due episodi in particolare mi hanno lasciato perplesso.... sul mio blog avevo segnalato e recensito l'intera "fase uno" dove qualche spunto degno di nota c'è anche stato.. ma per ora sono in attesa di comprendere l'insieme di questa "fase due" per capire dove andrà a parare perché al momento non riesco a farmi un'idea.
RispondiEliminaE di pochi giorni fa la notizia che la "famosa fase 3" (12 episodi in continuity) si vedrà nel 2018. Domanda: perché episodi in continuity dovrebbero migliorare la situazione di Dylan Dog.
RispondiElimina