lunedì 22 dicembre 2014
^Sigh^Life! - The, biscotti e le Ragazzine
Un mio articolo su Dylan Dog ha fatto succedere alcune cose.
Qualcuno si è scocciato, ritenendo ridicola la mia analisi.
Qualcuno si è congratulato, ritenendo chiara e decisa la mia analisi.
Qualcuno si è sorpreso, ritenendo inutile la mia analisi.
Qualcuno non ha fatto nulla.
A me Dylan Dog è piaciuto, come a molti. Ma mi è piaciuto a posteriori. Non lo leggevo negli anni della sua uscita originale. Ho recuperato i primi cinquanta numeri circa qualche anno dopo. E non ho mai provato quella sensazione di sorpresa mista esaltazione tipica di altri miei coetanei del tempo. Avevo un interesse acceso ma moderato.
Poi mi è scivolato tra le dita e nella mente.
Credo sia importante sottolineare però che quando Gualdoni ha preso in mano la responsabilità editoriale della testata, le cose sono precipitate terribilmente. Non discuto né ragiono sulla motivazione di tale scelta da parte della Bonelli, o sul modus operandi di Gualdoni, perché lascio che ognuno si prenda le giuste responsabilità. Ma è necessario dire e ridire che quanto è stato fatto a livello di progettazione editoriale delle storie, di idee narrative sul personaggio, si è rivelato goffo, negativo, avvilente per i lettori. Credo anche per gli autori che ci hanno lavorato. Oggi quando si parla di quel (lungo) periodo, vedo molte persone fare un sorrisino ironico e un'alzata di spalle. Questo è un errore. Dylan Dog resta, volente e nolente, un patrimonio dell'intrattenimento a fumetti italiano. E la gestione Gualdoni va detta e raccontata per il disastro che è stata.
La gestione Recchioni è all'inizio. Sicuramente è presto per averne un punto di vista coerente e ampio, ma ho sentito il bisogno, sì il bisogno di esprimere un giudizio netto e forte sulle prime storie, perché le ho trovate deludenti sotto tutti i punti di vista.
Sono convinto che si possa fare molto meglio, mantenendo coerenza con il personaggio e avendo ben chiaro il "mandato" editoriale della testata. Seriale non vuol dire gioco al ribasso. Non necessariamente. E questo anche per rispondere a chi sostiene che di Dylan Dog non valga neppure la pena parlare.
Mi piace il seriale. Mi è sempre piaciuto. So che certe cose non sono più di mio interesse, e ho la coerenza di abbandonarne la lettura (ultimo in ordine di tempo, Lukas). Ma mi interessano quelle storie, il rapporto che esse rinnovano tra intrattenimento e cultura, tra mestiere ed espressività. E se qualcuno cerca di restituire senso a una testata storica come Dylan Dog, per i primi mesi avrà tutta la mia attenzione. Non è neppure un problema di cassa di risonanza, di opportunismo o di "popolarità".
Ho molta cura, tra l'altro, di pormi alcune domande mettendomi dal punto di vista del lettore "seriale" (che non è un killer) o "inconsapevole". Quel punto di vista credo di saperlo cogliere e comprendere. E non possiamo fare l'errore di analizzare il riscontro del nuovo progetto editoriale partendo solo dal presupposto delle vendite, che contano, e molto, ma in un'analisi critica sono uno degli elementi da considerare, non certo l'unico.
Quindi, ho posto una questione in merito all'attualità dell'horror nel seriale italiano. Il terrore del quotidiano che viviamo è fatto di talmente tante cose, dense e sottili, che credo sarebbe più che possibile elaborarlo per ottime storie dylaniane. Ma richiede una sensibilità che ancora non vedo. Quella stessa che invece incontro quando leggo le storie più crude e violente di Julia, come nell'ottima Myrna: Bloody Pulp (un titolo che è anche una dichiarazione di intenti). Il paragone può sembrare inopportuno. Ma se di horror dobbiamo parlare per Dylan Dog, siamo senz'altro più vicini a quanto stanno facendo in alcune storie Berardi, Mantero e Calza, che all'approccio storico e gotico del Dampyr di Boselli.
Ogni serie, però, dovrebbe avere la sua identità. Dylan Dog l'ha totalmente persa, negli anni, a causa di alcune precise derive narrative e alle scelte editoriali senza criterio di alcuni editor.
Non commetterei mai l'errore di valutare la riuscita di una testata di Dylan Dog confrontandola con l'orrore emotivo di un lavoro di Ratigher. Le Ragazzine le leggo ancora insieme a dei buoni biscotti e a una tazza di the, in attesa che il nuovo mensile Bonelli mi offra qualche sensato disturbo emotivo. Se ciò non avverrà nei prossimi mesi, farò scelte coerenti con le mie emozioni e riflessioni.
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