venerdì 31 maggio 2013
^Sigh^LSB! - Intervista a Luca Vanzella e Luca Genovese
Dopo la presentazione della ricca anteprima di Beta nella rubrica ^Sigh^Look!, su LoSpazioBianco.it presentiamo una lunga intervista agli autori.
La trovi qui.
Di seguito uno stralcio.
LV: La voglia di giocare con i cliché e i topos dei robot Nagaiani è stata una delle pulsioni della storia ma dovevamo trovare un modo nostro per affrontarli; un modo che non fosse davvero revisionistico… non volevamo rompere il giocattolo, solo spingerlo in direzioni diverse ma tenendo i pezzi più o meno intatti… Un’opera come Evangelion, per esempio, è un commento sul genere robotico in cui gli impliciti esplodono in modo anche shoccante. Questo però non era proprio nelle nostre corde.
La nostra chiave è stata il realismo o meglio un’illusione di realismo. Far confrontare gli stereotipi mecha con la politica, la storia, le conseguenze… Vedere le scintille che nascono dall’attrito tra l’impossibilità dei robot e il mondo come lo conosciamo (anche se con quella distanza data dalla storia che dicevamo prima). E questo poteva funzionare solo se i robot e i piloti fossero stati assimilabili ai loro modelli. Uno può vedere la parabola di Dennis come il suo percorso per diventare eroe (idealista ma pieno di angst e quindi Nagaiano) nonostante (e contro) il cinismo e la disillusione che lo circondano.
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^Sigh^Life! - Dylan Dog - Rompere le abitudini?
Quando una nuova serie ha inizio, tutto è possibile.
Anche il successo?
Quando il successo per le sue qualità* diventa indipendente dalla sua qualità?
Quando l'acquisto diventa un'abitudine?
Quando l'abitudine viene sostituita da altre nuove abitudini più stimolanti?
Quando la qualità ritorna ad essere fondamentale per mantenere un'abitudine?
...
*se non ti piace, sostituisci a "qualità" la parola che vuoi...
mercoledì 22 maggio 2013
^Sigh^Life! - Nuova gestione di Dylan Dog, corro in edicola!
Appena saputo della notizia, sono corso in edicola a comprare il nuovo numero.
L'ho letto e... ma insomma, è sempre la solita roba! Non è possibile che Dylan continui a parlare in quel modo e muoversi in quel modo, con il solito cast di comprimari. Roberto Recchioni ci sta prendendo in giro?!
(su su, alleggeriamo un po' la tensione di questa faccenda?!)
lunedì 20 maggio 2013
^Sigh^Life! - Recchioni cura Dylan?
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^Sigh^Look! - Beta
Prima un’ammissione.
Faccio parte di quella generazione che è cresciuta guardando
gli scontri tra robot alla televisione. Ricordo ancora con un misto di
eccitazione e paura la parte iniziale di una pellicola, da guardare magicamente
su proiettore (prima delle vhs, prima del dvd), in cui la navicella spaziale di
Actarus atterra all’interno di una folta foresta. Prima delle immagini, il mio
ricordo è legato ai suoni, così diversi quelli del proiettore, rispetto alla piccola
televisione cui ero abituato.
Avevo le mie teorie. Per esempio non sopportavo l’incoerenza
della distruzione senza conseguenze: per me, se Goldrake perdeva un pugno in
battaglia, nella scena successiva doveva rimanere senza un braccio. Non sempre
accadeva, non in tutti i cartoni animati sui robot. Poi, la coerenza interna e
le difficoltà. Se eri un giovane pilota, non tutto poteva filare liscio. Il
cattivo intelligente era quello che ostacolava la composizione dei componenti.
Amavo Jeeg. Era l’unica cosa di cui ero certo.
Gundam per me rappresentò la fine. Non c’erano gli scontri
diretti cui ero abituato, non un singolo grande robot per cui tifare. Ecco,
quel tipo di complessità e di evoluzione non faceva per me.
Non sapevo nulla dei cartoni animati giapponesi. Non che si
chiamavano anime, non che la maggior parte di essi proveniva dai manga. E in
adolescenza, tarda adolescenza per me, non passai nostalgicamente al fumetto
dei miei eroi del passato. Solo oggi che ho due figli piccoli c’è stato un
breve quanto inconsistente ritorno ai robot. I miei figli preferiscono Peppa
Pig e I Pinguini di Madagascar. Certo, rivedendo oggi Goldrake, va detto, mi
colpiscono la durezza mostruosa degli invasori, e la violenza psicologica della
narrazione. Di questo mi sono nutrito da bambino. Una mostruosa e conturbante
contrapposizione di forze del bene e del male, senza soluzione di continuità. E
di religione cattolica. C’è da averne per una decina di vite di analisi, per
riuscire a superare quei traumi.
Un ottimo pretesto di analisi è Beta, di Luca Genovese e Luca
Vanzella. La coppia lavora insieme da sempre (ed è tanto, ed è poco). Ho sempre
seguito il loro lavoro, ma mai avrei immaginato che fossero giunti a una tale
capacità di sintesi e avessero maturato un’abilità narrativa così sofisticata e
felice.
Beta è una storia sui robottoni nagaiani, ma non solo. Dei
rituali mecha c’è tutto. Se leggi il primo capitolo la cosa è talmente evidente
da risultare quasi deludente. Fosse finita lì, la storia - e l’ambizione - di
Vanzella e Genovese, avremmo letto solo e semplicemente un riuscito omaggio. Ma
per fortuna arriva il secondo capitolo, che con l’accordo di Michele Foschini
di Bao Publishing e degli autori, presentiamo nella sua interezza in questa
anteprima. È in questo secondo capitolo, che segue un tradizionale quanto
disastroso scontro a fuoco tra robot “buoni e cattivi” (primo capitolo), che si
pongono le basi per una storia complessa, multiforme e dai molteplici piani di
lettura. Romanticismo, fantapolitica, fantascienza, ironia, parodia, avventura,
introspezione, … tutto questo è Beta. Una straordinaria sintesi di generi e
idee con una sensibilità tutta europea, e che arriva a trascendere la sua
origine e le sue radici per dare forma semplicemente a una grande storia.
Beta è composto di due volumi, in formato tankabon. Ha
richiesto più di due anni di lavoro, e rappresenta per me, oggi un punto di non ritorno importante per
il fumetto di avventura italiano, dove popolare e autoriale si fondono “per
sempre”, mi verrebbe da dire. Alla faccia delle categorie e dei luoghi comuni.
A giorni, su LoSpazioBianco.it, verrà pubblicata una mia
intervista agli autori e all’editore. Lo segnalerò. Intanto l’anteprima, da
leggere senza pregiudizi.
Il fumetto è vivo!
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domenica 19 maggio 2013
^Sigh^Life! - Interessere
Pratico la meditazione vipassana ormai da una decina di anni.
Uno dei concetti chiave del buddhismo è quello che il maestro vietnamita Thich Nhat Hanh (Thay) chiama interessere, ovvero l'interconnessione tra tutte le cose dell'universo.
In questo breve video, Thay lo spiega con le sue parole.
Cosa c'entra con il fumetto?
Ho trovato una breve storia di Altan, in cui è la Pimpa a spiegare a suo modo lo stesso concetto.
Quanta bellezza!
Uno dei concetti chiave del buddhismo è quello che il maestro vietnamita Thich Nhat Hanh (Thay) chiama interessere, ovvero l'interconnessione tra tutte le cose dell'universo.
In questo breve video, Thay lo spiega con le sue parole.
Cosa c'entra con il fumetto?
Ho trovato una breve storia di Altan, in cui è la Pimpa a spiegare a suo modo lo stesso concetto.
Quanta bellezza!
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giovedì 16 maggio 2013
Long-wei 1
Inizia male.
E per gli orientali l'inizio è la fine
e viceversa.
Leggerezza, semplificazioni
inapparenza.
Milano invisibile e uno strano
(non)supereroe cinese.
Genovese c'è. Le basi sono date.
I personaggi molli come vecchi cuscini.
Che dal prossimo numero ci si liberi delle incrostazioni
del seriale di maniera.
Non ci crederai, ma è un augurio.
info: long-wei
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^Sigh^Life! – La messa in scena
Breve premessa: il fumetto contenuto nel numero 7 de Le
Storie della Sergio Bonelli Editore, La Pattuglia, di Accatino e Casertano è fortemente debitore (in alcune parti sembra ricalcare) un film coreano dal titolo R-Point (puoi vedere un trailer). Ci sono diversi spezzoni in rete. Se volete, cercateli. Che si tratti o meno della versione a fumetti del film (mi diverte questo punto: la (non)versione a fumetti di un film misconosciuto), la questione riporta al centro due riflessioni che mi stanno a cuore.
Come detto in altro post, a presentazione del numero, il
curatore Gianmaria Contro cita una serie piuttosto lunga di riferimenti cinematografici
che avrebbero ispirato il fumetto, senza ahimé citare R-Point. Un’omissione di colpa, una dimenticanza
ingiustificabile? Una leggerezza? È possibile che neppure Contro ne fosse a conoscenza? Eppure, come dice lo stesso Accatino in un suo intervento in rete, la sua sceneggiatura riporta tutte le fonti di riferimento. Forse, come suggerisco in quel post, la prossima volta sarà meglio citare riferimenti fumettistici piuttosto che cinematografici, per evitare qualunque fraintendimento. Tanto sappiamo che in Bonelli nessuno o quasi cita altri fumetti, perché per lo più gli autori non li leggono.
Ma la questione che trovo più interessante riguarda
l’aspetto creativo. Questa vicenda è l’esemplificazione estrema di un certo
tipo di approccio al racconto seriale: nessuna vera idea da raccontare, ma una
grande attenzione alla forma. Insomma, il racconto seriale come pro-forma (inteso in senso letterale)
dove non conta cosa racconto ma il vestito che gli metto. Da qui, quella
sensazione che spesso abbiamo di inutilità delle storie che leggiamo. Quel
senso di vuoto deriva dal vuoto di idee degli autori. Un insieme di riproposte di idee e scene che supera ormai ogni qualunque proposito post-moderno. Anche perché, come in questo caso, il citazionismo non è sorretto da una visione creativa originale, forte e personale. Qui davvero forma e
contenuto diventano la stessa cosa: un contenuto che manca completamente di
originalità e personalità si riflette in una forma che è curata ma semplicemente
inutile, inconsistente. Il mestiere diviene lo scheletro che sorregge il nulla.
Abbiamo bisogno di autori diversi, che abbiano non solo qualche
straccio di idea originale, ma che abbiano anche voglia di mettersi
personalmente in gioco nella creazione delle loro storie. Che ci offrano il
loro punto di vista sul mondo e sulla vita e che abbiano voglia di sporcarsi un po' le mani. Che escano dalle logiche del compitino professionale da portare a casa mese dopo mese. A maggior ragione se si tratta di autori relativamente giovani e in crescita.
È possibile farlo in ambito avventuroso e seriale?
È possibile farlo in ambito avventuroso e seriale?
La domanda è talmente sciocca che mi vergogno di averla
fatta.
La risposta la lascio a voi.
mercoledì 8 maggio 2013
^Sigh^Life! - Iconic eye
Ancora in casa DC Comics, dalle anteprime del mese di maggio.
L'ironia tutta grafica di Animal Man (la prima cover di Jae Lee).
La forza del segno e del colore per la seconda (Suicide Squad di Jason Pearson).
In generale le cover di casa DC sono più scure e più di impatto rispetto alla concorrente Marvel.
L'ironia tutta grafica di Animal Man (la prima cover di Jae Lee).
La forza del segno e del colore per la seconda (Suicide Squad di Jason Pearson).
In generale le cover di casa DC sono più scure e più di impatto rispetto alla concorrente Marvel.
^Sigh^Life! - Iconic women
In casa DC Comics, dalle anteprime ancora del mese di maggio.
Si punta come di tradizione su alcune supereroine particolarmente formose. L'interpretazione più efficace, e meno esposta, è quella di J.H. Williams III per Batwoman (l'ultima), come prevedibile. I contenuti delle anteprime invece lasciano del tutto indifferenti. Che noia.
Si punta come di tradizione su alcune supereroine particolarmente formose. L'interpretazione più efficace, e meno esposta, è quella di J.H. Williams III per Batwoman (l'ultima), come prevedibile. I contenuti delle anteprime invece lasciano del tutto indifferenti. Che noia.
^Sigh^Life! - Iconic dog
Sempre dalle anteprime delle uscite Marvel Comics del mese di maggio.
Una storia raccontata dal punto di vista di un cane (in Hawkeye n.11).
Non una vera novità, ma un guizzo. La cover, molto semplice, funziona.
Una storia raccontata dal punto di vista di un cane (in Hawkeye n.11).
Non una vera novità, ma un guizzo. La cover, molto semplice, funziona.
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