Questa è nota, l'ho già raccontata: avevo meno di dieci anni quando, timido, mi nascosi per giorni e mesi in impolverati scatoloni di arretrati di Topolino che mi aveva regalato mio cugino, quello grande.
La polvere è ancora sulle mie dita, in forma di gioia nostalgica, di disperato tentativo di vivere al di fuori delle paure quotidiane, di ritrovare amici colorati e dalle strane forme che non giudicassero la mia magrezza o la mia timidezza.
Oggi recupero con sorpresa l'energia di quegli anni di formazione, sfogliando voracemente le tavole di Romano Scarpa sulla sua integrale attualmente in corso di pubblicazione.
Ci sono diverse cose che sarebbe importante ricordare:
Romano Scarpa faceva fumetti. Ed era uno dei più grandi.
Se capovolgi il punto di vista, in una traiettoria circolare e non lineare, la letteratura per l'infanzia prende le mosse da questi luoghi dell'immaginario, perdendo la ricchezza del segno nelle acrobazie delle sequenze tra vignette.
L'eredità di Scarpa è stata humus fertilissimo per diverse generazioni successive di autori.
L'eredità di Scarpa è stata saccheggiata.
L'emozione del fumetto a volte nasce da una sequenza perfetta, dove ogni segno e ogni senso si trova al suo posto, in perfetta sintonia.
L'infanzia che oggi viene sempre più rubata, nei tempi e negli stimoli, ha uno spazio interno tutto suo, che da adulti dobbiamo rispettare profondamente, e recuperare tra i ricordi sepolti nella mente. Leggere Scarpa aiuta.
E allora fermo il moto ondoso dei pensieri, dell'analisi, del giudizio, e sereno e fiducioso lascio che sia Scarpa a portarmi dove vuole. Ci sono autori per i quali è inutile farsi domande, attese o problemi. Lasci fare sicuro che la magia che deve accadere, accadrà.
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