L'affetto che proviamo per voi lettori ve lo dimostriamo tentando di illudervi che la storia che apre il volume [...] narri gesta eroiche, cinetiche, forgiate nel sacrificio del coraggio; in una parola, sportive. E invece? E invece siamo convinti che lo sport sia altro:
1. Un club esclusivo, il cui merito è escludere.
2. Una chiesa in cui pregare se stessi. Vincere, imporsi, sottomettere è l'unico comandamento.
3. Una guerra (prima provinciale, poi regionale, nazionale e) mondiale sotto mentite spoglie.
Se questo è lo Sport noi disertiamo. Ci prendiamo l'agonismo, quello sì, e lo impieghiamo per instillare il dubbio. Non è chiaro se da noi o da altri, ma è certo che:
Siete stati traditi!
Ratigher, dalla prefazione di Le incredibili avventure di: Tuta Teschio e altre storie a caso, The Milan Review.
Pagine
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lunedì 29 ottobre 2012
domenica 28 ottobre 2012
Are you my mother? (5)
Per anni Alison ha trascritto
le conversazioni telefoniche con la madre.
Ha trasformato la sua vita
in una finzione, per dare vita
a un fumetto autobiografico.
prima parte
seconda parte
terza parte
^Sigh^Life! 09
Il Boia di Parigi è un fumetto reazionario?
E l’autrice ne è consapevole?
È umanamente possibile essere inconsapevolmente reazionari?
Ci sono momenti in cui la mia mente va in cortocircuito. E
condivido.
Noto un fondo di godereccio senso di rivalsa nei lettori e
critici che hanno messo in luce questo presunto messaggio reazionario. E li
capisco. Il punto altro, il non detto, l’implicito di questo atteggiamento
sembra essere: negli anni la Sergio Bonelli Editore è cambiata, diventando il
conservatorismo dell’editoria a fumetti. Dalla griglia rigida, all’avventura
per forza, al realismo dei disegni… il potenziale del fumetto imbavagliato,
immobilizzato. Quando a questo atteggiamento editoriale si sposa
l’inconsapevole caduta politica di una delle nuove autrici di punta dell’editore,
il gioco è talmente facile da sembrare una resa incondizionata. La deriva ha
raggiunto il suo apice.
E mi viene il dubbio, serio, che a questo intricato livello
di lettura sia dovuta l’energia, l’irruenza degli interventi contro la storia
in questione.
Ho un punto di vista divergente. Che ha meno a che fare con
la casa editrice e con la politica, e più con l’uomo e la sua condizione
odierna.
Il Boia di Parigi è una storia che si colloca al di là di
precise e precodificate categorie politiche. Ma rappresenta nella sua
compattezza la dimensione esistenziale nella quale viviamo imprigionati
quotidianamente: ripiegamento all’individualismo, senza più alcuna prospettiva
storica, in un eterno presente fatto di distrazioni, di non sentire, di non ascoltare.
In questa sospensione, avviene la perdita di senso di quello che si fa, delle
relazioni, delle proprie emozioni, fino ad arrivare al nichilismo più acceso.
Un percorso che è assai simile a quello psicotico della depressione, dove i
fantasmi sono più consistenti del reale, dove il mondo si sottrae alla
conoscenza che arriva attraverso l’esperienza. Perché l’esperienza non è altro
che la conferma della parabola depressiva in atto. Isolamento. Anomia.
Di questa condizione, Il Boia di Parigi rappresenta la sua
variante da intrattenimento “popolare”, onnivoro. E non è un caso che tale
perfetta esemplificazione avvenga all’esordio di una serie (Le Storie) nella
quale non esistono specifici vincoli tematici, da un punto di vista editoriale.
Laddove, cioè, si allenta la presa iconica/iconografica imposta dai personaggi
seriali, emerge un carattere specifico, sensibile, personale, rappresentativo.
La categoria nominata “reazionario” perde a mio avviso di
ogni significato storico, di ogni dimensione. E l’incosapevolezza ne
rappresenta la precondizione necessaria, vincolante.
Alcuni errori di sceneggiatura a parte, la storia in
questione è ben fatta, ben disegnata, ben confezionata, secondo i criteri
estetici previsti dalla casa editrice. È quindi una storia epocale, necessaria,
che tanto, troppo (?) ci dice della nostra condizione sociale e comunitaria.
Quel che molti vedono come un difetto, per me è un dono
prezioso. Deprimente, certo, ma rivelatore.
Quando il reale, l’esperienza vitale e dinamica tornerà a
trovare il giusto spazio nella nostra quotidianità, al di là del peso
schiacciante della crisi economico/finanziaria (che altro non è che una forma
imposta di depressione), sarà possibile tornare a leggere storie “popolari”
diverse.
Da qui, credo sia chiaro che la faccenda è intrinsecamente
politica. Ma siamo di fronte a una nuova sfida: trovare nuove categorie di
analisi e di pensiero per questo presente politico involuto.
E l’intrattenimento? L’uso del tempo, lo spendere il tempo
in modo “indolore”, nella sospensione del sentire, del pensare, del reale, non
è parte in causa di questo stato di cose?
venerdì 26 ottobre 2012
^Sigh^LSB! - Love and Rockets (anteprima)
Presto, su LoSpazioBianco uno speciale tutto speciale per il trentesimo anniversario di Love and Rockets dei fratelli Hernandez, con omaggi disegnati da importanti autori italiani e internazionali e alcuni articoli di approfondimento. Il tutto a cura di Valerio Stivé. Io contribuirò con un mio pezzo. Di seguito un estratto:
Palomar è un rompicapo stratificato, perché tutto quello che Beto mette in scena è una finzione più solida del reale e ha una dose di verità talmente alta da apparire una rivelazione. Mette in moto quel processo di identificazione con il contenuto a livello profondo che spesso sfocia nell’insight, nell’intuizione di qualcosa di nuovo.
Darò notizia.
L'autostrada del solo, Hobby Comics 2
Raccogli un'idea e trasformala
nella tua ossessione.
Mettici tutto te stesso.
Perditici, fino a non sapere più
il motivo originale.
Ti ritroverai morto prima del tempo.
Senza tempo.
Ogni vita, in fondo, è così.
La tua ossessione qual è?
info: hobby comics
tuono pettinato
lunedì 22 ottobre 2012
^Sigh^Life! 08
Sarà ormai chiaro a tutti che sto leggendo con crescente amore il nuovo libro di Alison Bechdel, Are you my mother?
A breve, la nuova autobiografia di Alison sarà pubblicata anche in italiano, Rizzoli Lizard. Puoi vedere l'anteprima della copertina qui.
La traduzione del libro non è impresa semplice, perché il testo è denso, con numerosi riferimenti alla letteratura psicanalitica e alla narrativa (di Virginia Woolf, soprattutto). Non sarà facile rendere l'equilibrio che qui più ancora che in Fun Home l'autrice riesce a trovare tra linguaggio quotidiano e informale (Alison ha trascritto per anni le sue conversazioni telefoniche con la madre), e linguaggio letterario.
La sfida della traduzione si pone già dal titolo. Are you my mother? potrebbe avere almeno tre traduzioni:
Sei mia madre?
Tu sei mia madre?
Sei tu mia madre?
L'ultima, la più letterale, è quella scelta dai curatori italiani. Corretto?
Forse sì, è coerente con le intenzioni di Alison concentrare l'attenzione della domanda sul soggetto, ovvero su questa madre così dolorosamente presente eppure... distante.
Se hai amato Fun Home, questo libro è imperdibile.
Se non l'hai amato, dai una possibilità a Are you my mother?, perché Alison qui fa qualcosa di duro, di complesso e di estremamente maturo: interrogarsi sull'arte, il ricordo, la fiction, l'autobiografia, ... per ritrovare il proprio sé.
domenica 21 ottobre 2012
Are you my mother? (4)
Il racconto come ricerca di sé,
ricerca del Sé.
Solo una forma accettabile di mania.
Solo la dimensione inqualificabile,
intangibile ma accessibile dell’amore.
Solo l’anello che unisce quel che è diviso
alla nascita.
In quale dimensione dell’arte
si colloca l’autobiografia?
Building stories (1)
Quel sapore... che ricordo da sempre.
L'isolamento esistenziale.
L'impreparazione alla vita.
Di più, al tempo che passa e ti lascia
indietro.
L'arte non è questo e basta.
Ma dopo ogni grande partecipazione artistica
sono solo.
info: building stories
giovedì 18 ottobre 2012
Are you my mother? (3)
Madre sufficientemente buona
o rifugio nella mente.
La chiave nei sogni
o l’illusione di trovare una ragione?
Parole, disegni… macchie di un passato
qualunque.
Invisibile, impossibile.
Inevitabile la condivisione.
prima parte
seconda parte
info: alison bechdel
lunedì 15 ottobre 2012
^Sigh^Quote! 03
Responsabilità era per Guido un gesto continuo e consapevole del ruolo di ciascuno nella complessità della società civile. Ciò senza togliere a ciascuno l’inevitabilità dell’errore, della caduta, del dubbio. Quel fare implicava sacrificio, continuo, nel tentativo di mettere a tacere pulsioni di vita che andavano richiamate a uno scopo: che piace, che tocca, che si deve. […] A volte l’arte, la condizione intellettuale, l’invocazione alla cultura costituiscono scuse: per restare sempre e impunemente aggettivi senza alcun sostantivo da argomentare. Guido si definiva un mestierante, mai artista. Egli credeva che la propria ricerca fosse imprescindibile da un atteggiamento etico. Non dunque il fare per il fare, ma il fare per un principio. Nel suo lavoro non accettava scuse, divagazioni dal principio, e l’obiettivo non era mai una superficie liscia, un guscio d’uovo da accarezzare con autoreferenzialità. L’oggetto si sporcava della materia, del sedimento, ed era generato attraverso un percorso di depositi soggettivi, ma anche oggettivabili. Ne risultava sempre un prodotto crudo e crudele, nel linguaggio e nei temi, che parlava dei fallimenti della storia oppure delle povertà umane, dei ricordi e delle dimenticanze della società.
Roberto Franco, da SessantaQuaranta, con Walter Chendi, ed. ARTeFUMETTO
Le storie 1, Il boia di Parigi
Un atto di dedizione
per una precisa forma editoriale.
Svincolata, smagnetizzata.
Un equilibrio cercato e reso
alla cultura minore del pensiero maggiore.
Un prodotto, certo!
Un prodotto avvincente e riuscito.
Un intelligente iperbole sul potere
politico,
editoriale.
venerdì 12 ottobre 2012
mercoledì 10 ottobre 2012
^Sigh^LSB! - Intervista a Giuseppe Palumbo
Su LoSpazioBianco, segnalo un'intervista a Giuseppe Palumbo realizzata da Antonio Tripodi.
Le domande sono buone, anche quando "sbagliate", e le risposte offrono numerosi spunti.
Provo a fare una sintesi, e una piccola provocazione: il fumetto come evasione nelle edicole; il fumetto come lavoro sulla realtà nel web e nelle performance. Una riflessione sui supporti, sulla diffusione e sull'approccio artistico al fumetto oggi sarebbe molto interessante.
Le domande sono buone, anche quando "sbagliate", e le risposte offrono numerosi spunti.
Are you my mother? (2)
Un confronto con il proprio sé.
Non è in fondo questo il motore di un'autobiografia?
E della vita?Occidentale: psicanalisi post-freudiana, narrativa.
I fatti o la fiction?
Sono i temi centrali della narrazione di questi anni.
Di sempre?
prima parte
info: alison bechdel
Tex 624, Partita truccata
L'idea si chiude su se stessa.
Un tradizionale movimento di china e odori.
Un meccanismo a orologeria privo di vita.
Alto professionismo. Di cui, in fondo,non c'è grande bisogno.
lunedì 8 ottobre 2012
Julia 169, Myrna: rabbia antica
Non finisce mai.
E Myrna diventa come Goblin per Spider-Man:
pericolosa e troppo vicina alla famiglia.
Un passo sempre avanti. Folle, innamorata.
Ma non tutto funziona, stavolta.
Perché la trama precisa e tirata
ti ricorda che è tutta fiction.
E il dramma scompare in una foresta.
Ma... Laura Zuccheri dov'è andata?
info: Julia 169
venerdì 5 ottobre 2012
Dylan Dog 313, Il crollo
Crollo, chiusura della mente, soffocamento.
Quale territorio lambiamo? Quale avventura?
Il cerchio chiuso della paura prende le mani.
Almeno, fino ai nodi di Hartmann.
A quel punto arriva una lunga spiegazione.
E tutto si ferma, prima di un finale senza più fiato.
Peccato. Una storia così si regge sul finale.
Occasione sprecata. Ai nodi, fermati, e fregatene
di capire tutto. Ti rovineresti il gusto.
info: dylan dog 313
lunedì 1 ottobre 2012
^Sigh^Life! 06
È più importante l’Artista o la sua Arte?
Se guardiamo da dentro il piccolo mondo e il posto che
occupiamo in esso, non c’è dubbio: l’Artista prima di tutto. E nel luogo
preferito dai fumettisti e dai loro lettori appassionati, questo è ancora più
vero. In questa attualità fatta di leggerezza, superficialità e consumo, si può
arrivare al paradosso per cui l’Artista si afferma ancor prima che lo faccia la
sua Arte. Il primo arriva dove non arriva la seconda. Perché la creatività è al
servizio del potere istituzionale, dell’affermazione della propria identità
metacomunicativa. In tanti, troppi casi, l’Arte è un pretesto per l’affermazione
dell’Artista.
Per raggiungere questo obiettivo, l’Artista si distrae e
impegna il proprio tempo nelle battaglie sbagliate.
Ma l’Arte è una sfida, è ricerca, è duro impegno, è sorpresa,
è mettersi costantemente in discussione, reinventando ogni giorno il proprio
occhio che osserva, la propria mente che elabora, le proprie emozioni che
rivelano. Alla fine, davvero, l’artista non dovrebbe contare più nulla. Dovrebbe
rimanere solo la sua opera. Quel che l’Artista ha da dire al di fuori della sua
Arte può essere importante socialmente, culturalmente, o per la sua comunità di
appartenenza. Ma non modifica di nulla la qualità della sua opera. Ma molti
fumettisti se ne dimenticano. Egotismo e bulimia multimediale spengono la creatività
e l’emozione del loro impegno. Il potere istituzionale è così ammaliante, vorace.
Peccato che sia effimero, illusorio e paralizzante. Paralizzante.
Abbiamo così tanti Artisti paralizzati dalla loro
appartenenza istituzionale, nel mondo del fumetto, che neppure ci ricordiamo più
perché seguiamo le loro opere. L’idea dell’intrattenimento a tutti i costi si
mangia tutto, primo tra tutto il tempo. E allora, leggere quello che un fumettista scrive nel suo blog rischia
di diventare più divertente, creativo, intrattenente della sua opera. E il nostro tempo vola via.