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martedì 24 novembre 2015
^Sigh^Life! - Come (non)funziona una nuova serie, ovvero smentire le premesse
Il mese scorso la Sergio Bonelli Editore ha iniziato la pubblicazione di una nuova serie, Morgan Lost, ideata e sceneggiata da Claudio Chiaverotti. Non mi dilungo sulle strategie della casa editrice, sulle alterne vicende delle nuove serie, sul tentativo di recuperare fette di mercato, o l'attenzione di nuovi lettori.
Trovo invece interessante condividere una riflessione su quello che non è Morgan Lost e vorrebbe essere, almeno da quanto si è potuto vedere nei primi due numeri, che rappresentano insieme una storia auto-conclusiva.
In Morgan Lost ci sono due elementi di forte discontinuità rispetto alla "tradizione" Bonelli che emergono a prima vista: la colorazione e le copertine.
La prima è realizzata in scala di grigio e rosso, per tentare di inscenare un contesto visivo cupo e violento (il rosso come simbolo del sangue, della violenza, ecc.). L'idea viene immediatamente banalizzata e impoverita dalla didascalica spiegazione che ne dà Chiaverotti nel primo numero. Per problemi fisici, il protagonista ha un problema di daltonismo che gli permette di vedere solo il rosso. Voilà, il meccanismo visivo è sputtanato. Intanto perché questa spiegazione suggerisce una lettura "in soggettiva" della realtà che l'autore non si impegna minimamente a rispettare, in secondo luogo perché ... una spiegazione per questo tipo di scelta non era necessaria. Soprattutto non a parole, all'interno di un dialogo come un altro, messo lì apposta per rassicurare i lettori.
Le copertine sono interessanti, potenti, di chiara derivazione statunitense, con una forte strizzata d'occhio a un periodo, quello dei primi anni Duemila, in cui la perizia grafica di alcuni autori aveva allargato il concetto di copertina "concettuale". Lo sviluppo grafico delle prime tre cover, quindi, raggiunge l'obiettivo di marcare una netta differenza rispetto a quanto fatto finora in casa Bonelli, con una rappresentazione non piatta e banale dell'eroe bonelliano. Prospetta anche una maturità dei contenuti, sia in termini di tematiche, che in termini di linguaggio, che purtroppo la narrazione elude clamorosamente.
Non è difficile impostare bene le premesse di una nuova serie. Neppure avviare una nuova storia suscitando curiosità o mistero. E questo Chiaverotti sembra saperlo. Le prime cinquanta tavole di Morgan Lost 1 sono all'altezza delle aspettative introdotte da copertina, colorazione, cura dei disegni, comunicati stampa e introduzione dell'autore. Il lettore attento, tuttavia, gira pagina una dopo l'altra temendo lo scivolone dentro ogni vignetta. Si legge lo sforzo di Chiaverotti di cercare una sofisticazione formale che si muova in equilibrio tra forza di rottura e mansuetudine tradizionalista. Inutile quindi dire che gli scivoloni arrivano. Il didascalismo già citato in merito alla colorazione è diffuso, e segno della mancanza di fiducia nei lettori, da un lato, e nei propri mezzi narrativi dall'altro. Sia il linguaggio utilizzato nei baloon che le scelte visive nei disegni denotano una totale mancanza di coraggio e una pigra ricerca di soluzioni nell'impostare lo story-telling. Chiaverotti si inserisce in una tradizione narrativa violenta, diretta, eccessiva, usando le pantofole di stoffa, o i guanti di velluto, o qualunque altra metafora del caso. Più semplicistica la metafora, più siamo vicini alle scelte narrative di Chiaverotti. Che si coronano in una conclusione del secondo numero dove tutto viene gettato alle ortiche.
Come dicevo, non è difficile iniziare bene, ma è molto complesso tirare le fila e non mandare tutto all'aria. Perché è come concludi la storia, come ne gestisci i momenti di passaggio cruciali, i cosiddetti turning point, che emerge la tua capacità tecnica e la tua cifra stilistica. Ebbene, Morgan Lost 2, a partire dalle prime tavole, è un susseguirsi di soluzioni banali, convenzionali, goffe e didascaliche, condotte attraverso dialoghi fuori registro e lunghe spiegazioni anti-climax come non ne leggevo dai tempi dei peggiori Dylan Dog del famigerato periodo Gualdoni.
Di fronte a tutto questo, anche lo scenario più interessante e le premesse più avvincenti franano miserabilmente. E né lo scenario né le premesse di Morgan Lost erano così potenti. Quindi, in conclusione, avviene semplicemente un triste precipizio logorroico e noioso fino alla necessaria parola "fine". Peccato, perché pur con tanti dubbi e un po' di sfiducia, all'inizio ci avevamo sperato.
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