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giovedì 14 novembre 2013

^Sigh^Life! - L'anti graphic novel di Massimo Giacon

Il graphic novel è il gemello maschile della graphic novel. Differiscono per genere e per etichetta. C’è una sorta di gerarchia temporale per cui la seconda è antecedente al primo e, per questo, dal primo è superato.
Se hai difficoltà a capirci qualcosa, puoi semplicemente decidere di usare il suono che preferisci. Io sono affezionato alla graphic novel, perché sono un gentiluomo. Ma lascia che sia la musica a guidarti. 

Ricordo che, anni fa, una delle interviste più divertenti che ho fatto è stata quella a Massimo Giacon (qui). Insieme al mio amico Alberto Casiraghi mi recai nello studio milanese di Giacon, in zona Leoncavallo/Loreto, e chiacchierammo intorno al fumetto e tutto il resto. Eclettico, Giacon. Fuori schema. Artista. Idee chiare ma evanescenti, o forti e seduttive. L’artistite come una malattia, o un’identificazione potente, o un rituale di vita. Ho sempre amato il suo gusto visivo. 

Amo gli artisti, in generale, con il distacco partecipe che sempre mi accompagna quando sento un certo tipo di energia, di convinzione. Inutile aggiungere, ma lo aggiungo, che non è possibile valutare un uomo dall'incontro di un’intervista. Non i suoi dubbi reali, le sue ambizioni, le sue amputazioni, i suoi successi. E che il luogo dell’intervista è proprio il più adatto per dare spazio alla propria artistite.
Nel suo approccio controcorrente, corrosivo, Giacon ha più volte espresso perplessità per la (non)forma delle graphic novel. L’ha anzi messa in discussione con i suoi stessi lavori. Che da quella (non)forma sembrano sempre volersi distaccare con forza. Mi tornano in mente questi pensieri perché trovo su twitter il link alla sua strepitosa, sintetica e pungente critica in forma di fumetto (il fumetto è il mezzo principe della meta-comunicazione) alla graphic novel. Eccola qui.



E non è un caso che il libro a cui sta lavorando per Rizzoli Lizard venga definito proprio su twitter come inclassificabile. Le etichette contano. Per un iconoclasta come Giacon, inclassificabile è il top. Anche questo è marketing.
Eppure, eppure provo un certo fastidio alla critica forzata alla (non)forma delle graphic novel.
Per almeno tre ragioni che sintetizzo così:

- Non esiste qualcosa come LA graphic novel. Tale concetto mi sembra la reificazione di un pregiudizio. Anche considerandola all'interno di un movimento artistico, come teorizzò alcuni anni fa Eddie Campbell, trovo pressoché impossibile radicalizzare il concetto fino a un format specifico, o ridurre quelle che comunemente sono considerati degli ottimi esempi di graphic novel a uno schema predefinito (un elenco sarebbe utile, per allargare la discussione, ma non ho il tempo per farlo ora).

- Storicamente, il concetto di graphic novel, soprattutto negli USA dove è nato, ha fatto più bene che male all'evoluzione culturale e artistica del fumetto. Ha aperto nuovi orizzonti e possibilità, sia artistiche che editoriali che economiche.

- Anche la pura adesione a un canone come quello che Giacon prende in giro nella sua tavola non esclude la possibilità di realizzare un capolavoro. Tutto dipende dalla capacità dell’autore di raccontare. Tanto quanto aderire ad altri canoni (quello avventuroso, per esempio) non impedisce ad altri autori di realizzare ottimi fumetti. E non può diventare, forse, anche l’anti (non)forma verso cui Giacon sembra volersi muovere essa stessa una gabbia? L’inclassificabile stesso, in forma fumetto, potrebbe essere schematizzato in una tavola, individuando alcuni punti cardini della sua impalcatura. Ma anche questo è un pregiudizio.


In conclusione, potrebbe essere più utile tornare al buon senso di giudicare un’opera al di là della presunta etichetta che le viene data. Tornare alla forza espressiva e comunicativa del lavoro, all'indagine delle motivazioni dell’autore e all'ascolto delle emozioni e dei pensieri che esso muove dentro ai lettori.  

2 commenti:

  1. La frase in chiusura la stampo, l'incornicio e l'appendo in camera.

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  2. “…tornare al buon senso di giudicare un’opera al di là della presunta etichetta che le viene data. Tornare alla forza espressiva e comunicativa del lavoro…”
    Quel che mi colpisce, seguendo il tuo ed altri blog attinenti al fumetto, è la grande differenza nel numero di commenti che vi trovo. Attenzione, non la qualità dei commenti, ma solo il loro numero. Una sorta di share che chissà se vuol dire qualcosa.
    Ho sempre l’impressione che se intingi la tastiera nell’autocelebrazione, nella denigrazione degli altri, nel compiacimento delle copie vendute, nella capacità di ripetizione delle situazioni, canoni, personaggi e soluzioni, oltrechè in una spolveratina di politicamente corretto, se lo fai allora hai molti interessati a commentare questo mondo meraviglioso che non conosce crisi.
    Se, altrimenti, provi a scrivere, in una visione generale, criticando la ormai cronica stitichezza di quello stesso mondo, allora troverai un commento, magari entusiasta, se ti va bene.
    Giacon non ha torto anche se trattare così il GN continua a dargli credito. Il GN non esiste. Esiste la “letteratura disegnata” buona o cattiva. Da noi si chiama fumetto.
    Forse il tuo articolo è troppo difficile. Forse è solo troppo lungo. E’ più facile che venga commentato un commento, più breve e sul quale si può cercare di deviare il discorso, quando non la si butta in rissa verbale.
    Dire che bisognerebbe tornare alla forza espressiva o alla costruzione seria di racconti nuovi, per quel che vale il termine, ma che “stanno in piedi” da qualsiasi posizione li guardi, dire questo non è interessante, non è “carino” verso quel meraviglioso mondo, convinto che quantità sia meglio di qualità.
    Lo sai che ti leggo sempre volentieri, ma mi verrebbe da dirti: lascia perdere, è una battaglia persa.

    Dimenticavo: la frase io l’ho già stampata e appesa sopra il letto.

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