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martedì 26 novembre 2013

^Sigh^Life! - Una Storia e i Fiori del Massacro si incontrano

Avendo facoltà, come si dice, scegliamo liberamente di quali letture riempire il nostro tempo libero.
Le vicende della vita, negli ultimi mesi, mi hanno ripulito: pistola alla tempia, o il tempo o la vita. Nessun cazzo di Tex intorno ad aiutarmi. Alla vita ci tengo. Quindi via alle priorità e stop alla lettura.
Nel fine settimana appena concluso, mi sono però riappropriato di alcune ore e, soprattutto, del gusto di soffermarmi sulle pagine a fumetti.
Potrei riflettere sul tema della decongestione da lettura che ho vissuto in questi mesi, ma rimando perché, dopo un po’ di tempo, ho voglia di tornare a parlare di qualcosa che ho letto.



Gipi, Una storia, fresco di stampa, con il suo grande formato, mi ha riportato a qualche anno fa, quando aspettavo con una certa emozione l’uscita di un nuovo libro. Ché Gipi resta, ancora oggi, forse sempre di più, un grande, grandissimo talento del fumetto. Uno che ci si sporca, con le sue tavole, e che ha costruito con consapevolezza molti dei meccanismi che lo rendono speciale.


Recchioni e Accardi, I fiori del massacro, uscita numero 15 de Le Storie della Bonelli, prevista per metà dicembre, si dovrebbe collocare sulla sponda opposta rispetto a Una Storia nell'ideale e fantomatica dicotomia fumetto “popolare”/fumetto “autoriale”. Le divergenze produttive, concettuali, di target e artistiche sembrano motivare, ancora oggi, questa differenziazione. Per un lettore onnivoro come me, il tema diventa secondario quando le storie sono buone e sono aperte. O forse, più che secondario, un tema da tenere ben presente e da superare.



Una storia di Gipi è meno di quello che ci si aspetta prendendo a riferimento i suoi principali lavori precedenti: meno complessa, meno densa, meno pensata, meno stratificata. C’è un gesto artistico più immediato, una volontà più chiara, ma non sempre a fuoco. Il racconto è costruito intorno a due idee piuttosto semplici, che hanno a che fare con il senso della vita e l’eredità della morte. O il senso della morte e l’eredità della vita. Temi importanti. Che l’autore decide di trattare su due piani temporali diversi e giustapposti, legati però dal tema dell’eredità di sangue. I due protagonisti della storia sono infatti parenti e il titolo utilizzato da Gipi per il suo lavoro chiarisce da subito che in entrambi i casi si sta parlando della stessa identica storia. Vita/morte, eredità, libertà…


Sarà un caso, o un segno dei tempi, se I fiori del massacro affronta gli stessi identici temi: il senso della vita e l’eredità della morte. O il senso della morte e l’eredità della vita. Il concetto cardine, ereditato dall’opera immortale Lone Wolf and Cub è il Meifumado, l’inferno giapponese, cui la protagonista della storia si lega, in un percorso che richiama direttamente l’esperienza del Lupo Solitario. L’impalcatura della storia è avventurosa e decisamente “popolare”, ma nasconde una preparazione onnivora e ottimamente “reincarnata” su migliaia e migliaia di altre pagine scritte e disegnate, viste e ascoltate da parte di Recchioni e Accardi. La coppia si conferma più che nel precedente lavoro come perfettamente in sintonia. Stupisce in particolare Accardi, che riesce a mimetizzare il tratto orientale con un’interpretazione personale, tutta europea e bonelliana, senza risultare mai posticcio o derivativo. Una scommessa difficilissima per un prodotto seriale italiano che è senz’altro vinta. Recchioni ci mette le sue idee e la cura nella sceneggiatura. Non ci sono sorprese. Tutto fila fin troppo liscio. Come nel primo numero de Le Storie i canoni di riferimento non sono mai sovvertiti. Difficile dire, in generale, se questi siano limiti o pregi. Per il mio personale punto di vista è un difetto grande come una casa, perché il lettore consapevole vorrebbe rimanere felicemente sorpreso. Insomma, Osamu Tezuka ha mostrato come fare in centinaia di sue pagine, ma non è, oggi, purtroppo, autore particolarmente ripreso o “imitato”.



La vita, la morte, l’eredità nelle loro declinazioni legano due storie diversissime sotto tutti i punti di vista. È vero che si tratta di cardini sui quali spesso si sono sviluppati meccanismi narrativi efficaci, popolari e autoriali. In questo caso, oltre alla visione diacronica del mio personale rapporto tra lettura e vita, mi sembra si possano aggiungere altri due elementi che legano insieme Una Storia e I Fiori del Massacro: la consapevolezza degli autori rispetto ai propri mezzi e alla forma fumetto che stanno perseguendo; la volontà di rispettare in pieno le aspettative del proprio target di lettori di riferimento. E forse le due cose vanno insieme.


giovedì 14 novembre 2013

^Sigh^Life! - L'anti graphic novel di Massimo Giacon

Il graphic novel è il gemello maschile della graphic novel. Differiscono per genere e per etichetta. C’è una sorta di gerarchia temporale per cui la seconda è antecedente al primo e, per questo, dal primo è superato.
Se hai difficoltà a capirci qualcosa, puoi semplicemente decidere di usare il suono che preferisci. Io sono affezionato alla graphic novel, perché sono un gentiluomo. Ma lascia che sia la musica a guidarti. 

Ricordo che, anni fa, una delle interviste più divertenti che ho fatto è stata quella a Massimo Giacon (qui). Insieme al mio amico Alberto Casiraghi mi recai nello studio milanese di Giacon, in zona Leoncavallo/Loreto, e chiacchierammo intorno al fumetto e tutto il resto. Eclettico, Giacon. Fuori schema. Artista. Idee chiare ma evanescenti, o forti e seduttive. L’artistite come una malattia, o un’identificazione potente, o un rituale di vita. Ho sempre amato il suo gusto visivo. 

Amo gli artisti, in generale, con il distacco partecipe che sempre mi accompagna quando sento un certo tipo di energia, di convinzione. Inutile aggiungere, ma lo aggiungo, che non è possibile valutare un uomo dall'incontro di un’intervista. Non i suoi dubbi reali, le sue ambizioni, le sue amputazioni, i suoi successi. E che il luogo dell’intervista è proprio il più adatto per dare spazio alla propria artistite.
Nel suo approccio controcorrente, corrosivo, Giacon ha più volte espresso perplessità per la (non)forma delle graphic novel. L’ha anzi messa in discussione con i suoi stessi lavori. Che da quella (non)forma sembrano sempre volersi distaccare con forza. Mi tornano in mente questi pensieri perché trovo su twitter il link alla sua strepitosa, sintetica e pungente critica in forma di fumetto (il fumetto è il mezzo principe della meta-comunicazione) alla graphic novel. Eccola qui.



E non è un caso che il libro a cui sta lavorando per Rizzoli Lizard venga definito proprio su twitter come inclassificabile. Le etichette contano. Per un iconoclasta come Giacon, inclassificabile è il top. Anche questo è marketing.
Eppure, eppure provo un certo fastidio alla critica forzata alla (non)forma delle graphic novel.
Per almeno tre ragioni che sintetizzo così:

- Non esiste qualcosa come LA graphic novel. Tale concetto mi sembra la reificazione di un pregiudizio. Anche considerandola all'interno di un movimento artistico, come teorizzò alcuni anni fa Eddie Campbell, trovo pressoché impossibile radicalizzare il concetto fino a un format specifico, o ridurre quelle che comunemente sono considerati degli ottimi esempi di graphic novel a uno schema predefinito (un elenco sarebbe utile, per allargare la discussione, ma non ho il tempo per farlo ora).

- Storicamente, il concetto di graphic novel, soprattutto negli USA dove è nato, ha fatto più bene che male all'evoluzione culturale e artistica del fumetto. Ha aperto nuovi orizzonti e possibilità, sia artistiche che editoriali che economiche.

- Anche la pura adesione a un canone come quello che Giacon prende in giro nella sua tavola non esclude la possibilità di realizzare un capolavoro. Tutto dipende dalla capacità dell’autore di raccontare. Tanto quanto aderire ad altri canoni (quello avventuroso, per esempio) non impedisce ad altri autori di realizzare ottimi fumetti. E non può diventare, forse, anche l’anti (non)forma verso cui Giacon sembra volersi muovere essa stessa una gabbia? L’inclassificabile stesso, in forma fumetto, potrebbe essere schematizzato in una tavola, individuando alcuni punti cardini della sua impalcatura. Ma anche questo è un pregiudizio.


In conclusione, potrebbe essere più utile tornare al buon senso di giudicare un’opera al di là della presunta etichetta che le viene data. Tornare alla forza espressiva e comunicativa del lavoro, all'indagine delle motivazioni dell’autore e all'ascolto delle emozioni e dei pensieri che esso muove dentro ai lettori.