(c) bill watterson
La fede del lettore militante ha costruito idoli e retoriche forti e impenetrabili. E le vittime principali di tale approccio sono gli autori. Disegnatori e sceneggiatori sono le icone dell’impalcatura istituzionale: a seconda delle mode, del punto di vista, dell’ideologia di riferimento, rappresentano il bene o il male assoluto.
Gli autori diventano star, divinità inarrivabili o terribili derelitti, in ogni caso simboli. In quanto tali, sono vezzeggiati ed esaltati, derisi e umiliati al di là dello specifico del loro lavoro. Diversi meccanismi secondari alla loro opera favoriscono tale processo, grazie alle possibilità di amplificazione della rete e di un suo utilizzo puntuale e mirato.
Il risultato principale è che gli autori sono abituati soltanto alla critica militante che, come detto, procede in due modi: o incensa regolarmente o colpisce per distruggere. La logica è quella propria della contrapposizione del potere, ed è sempre pretestuosa. Ne consegue che se la critica è positiva, l’autore se ne compiace acriticamente perché supporta il processo di idealizzazione che lo riguarda. Se la critica è negativa, l’autore demolisce la credibilità delle argomentazioni mettendo (giustamente) in discussione la buona fede del critico militante. Quando quest’ultimo si esprime negativamente in merito a uno specifico lavoro, vuole in realtà attaccare il sistema, l’istituzione nel quale si identifica l’autore.
L’approccio militante, con la sua diffusione, la sua pervasività e la sua utilità per regolare i poteri interni al sistema, squalifica ogni reale opportunità di sviluppare un ragionamento critico veritiero e costruttivo verso il fumetto e solleva gli autori dal doversi mettere in discussione di fronte a possibili critiche circostanziate e non militanti. La maggior parte degli autori, quindi, o strumentalizza la critica in funzione della conservazione del potere, oppure ne nega qualunque utilità. Da questo punto di vista, effettivamente, la critica non serve a nulla. Perché è solo l’ennesimo ingranaggio di un meccanismo finalizzato esclusivamente alla costruzione e al mantenimento del potere.
Abituati alla critica militante, gli autori e i lettori (militanti) non sanno più distinguere ragionamenti critici non ideologici: o sono invisibili, oppure sono omologati agli altri, e quindi trasformati immediatamente in strumenti pretestuosi e inattendibili.
Nel piccolo mondo del fumetto, la maggior parte degli autori non ha maturato la cultura del confronto con la critica, perché quella intellettualmente onesta, aperta, a contatto con la vita di tutti i giorni è rara e regolarmente soffocata dall’approccio militante. Gli autori sono così al contempo vittime e artefici. E il mondo del fumetto si chiude in un’ombra.
Gli autori diventano star, divinità inarrivabili o terribili derelitti, in ogni caso simboli. In quanto tali, sono vezzeggiati ed esaltati, derisi e umiliati al di là dello specifico del loro lavoro. Diversi meccanismi secondari alla loro opera favoriscono tale processo, grazie alle possibilità di amplificazione della rete e di un suo utilizzo puntuale e mirato.
Il risultato principale è che gli autori sono abituati soltanto alla critica militante che, come detto, procede in due modi: o incensa regolarmente o colpisce per distruggere. La logica è quella propria della contrapposizione del potere, ed è sempre pretestuosa. Ne consegue che se la critica è positiva, l’autore se ne compiace acriticamente perché supporta il processo di idealizzazione che lo riguarda. Se la critica è negativa, l’autore demolisce la credibilità delle argomentazioni mettendo (giustamente) in discussione la buona fede del critico militante. Quando quest’ultimo si esprime negativamente in merito a uno specifico lavoro, vuole in realtà attaccare il sistema, l’istituzione nel quale si identifica l’autore.
L’approccio militante, con la sua diffusione, la sua pervasività e la sua utilità per regolare i poteri interni al sistema, squalifica ogni reale opportunità di sviluppare un ragionamento critico veritiero e costruttivo verso il fumetto e solleva gli autori dal doversi mettere in discussione di fronte a possibili critiche circostanziate e non militanti. La maggior parte degli autori, quindi, o strumentalizza la critica in funzione della conservazione del potere, oppure ne nega qualunque utilità. Da questo punto di vista, effettivamente, la critica non serve a nulla. Perché è solo l’ennesimo ingranaggio di un meccanismo finalizzato esclusivamente alla costruzione e al mantenimento del potere.
Abituati alla critica militante, gli autori e i lettori (militanti) non sanno più distinguere ragionamenti critici non ideologici: o sono invisibili, oppure sono omologati agli altri, e quindi trasformati immediatamente in strumenti pretestuosi e inattendibili.
Nel piccolo mondo del fumetto, la maggior parte degli autori non ha maturato la cultura del confronto con la critica, perché quella intellettualmente onesta, aperta, a contatto con la vita di tutti i giorni è rara e regolarmente soffocata dall’approccio militante. Gli autori sono così al contempo vittime e artefici. E il mondo del fumetto si chiude in un’ombra.
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